di Mazzi F, Di Marco V, Montecchi R, Caloro G, Starace F e il gruppo “Dialogo Aperto” DSMDP di Modena

L’approccio terapeutico Dialogo Aperto (DA), concepito e sperimentato in Finlandia, da Seikkula J e collaboratori, è stato applicato al servizio sanitario pubblico a partire dalla metà degli anni ’90. Il DA è attualmente in fase di adozione in molti paesi occidentali, sia per la sua elevata efficacia nella risoluzione di sintomi invalidanti, sia per promuovere l’inclusione sociale e la guarigione completa delle persone affette da malattie psichiatriche. Questo approccio terapeutico coinvolge l’intero nucleo familiare, la rete di relazioni dell’utente e i servizi presenti sul territorio.

Le principali caratteristiche che descrivono l’approccio sono le seguenti[1]:

  • tempestività degli interventi in situazioni di crisi;
  • coinvolgimento abituale della famiglia e del contesto sociale;
  • continuità psicologica del trattamento (stesso team di professionisti durante tutto il processo di trattamento);
  • flessibilità del team dei terapeuti, con la disponibilità ad incontrarsi a domicilio del paziente, secondo le esigenze delle famiglie ma comunque nell’ambito dell’orario di apertura dei servizi;
  • trasparenza del processo terapeutico: nessuna decisione relativa al trattamento viene presa in assenza delle persone direttamente interessate;
  • valorizzazione delle risorse personali, della rete sociale e delle risorse terapeutiche presenti nella rete dei servizi;
  • ruolo secondario e non primario della terapia farmacologica.

Gli studi sull’applicazione di DA nel contesto in cui è stata concepita in relazione alla psicosi all’esordio, hanno prodotto risultati sorprendenti: circa l’80% delle persone hanno ripreso le attività, gli studi o il lavoro e solo il 20% ha avuto bisogno di una pensione di invalidità. L’uso di farmaci antipsicotici è stato modesto (il 67% non ha mai fatto uso di questi farmaci e solo il 20% delle persone trattate con DA li assumeva ancora dopo 5 anni)[2].
Nel 2015, il Ministero della Salute italiano ha finanziato un progetto nazionale – ancora in corso – per valutare la trasferibilità del DA nel contesto di otto dipartimenti italiani di salute mentale: Torino, Savona, Trieste, Roma (2), Modena, Catania.

Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) di Modena ha iniziato il suo lavoro clinico impegnandosi non solo nella formazione ma anche in una attività di ricerca specifica che aveva lo scopo di valutare la fattibilità e l’efficacia dell’applicazione di DA in un Centro di Salute Mentale (CSM) e nel Servizio Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC)[3].

Gli obiettivi principali dell’attività di ricerca sono:

  1. la valutazione della trasferibilità e fattibilità della DA nel contesto e nella routine dei servizi di salute mentale modenesi;
  2. l’efficacia sul campo dell’approccio DA confrontato con il trattamento abituale.
    L’attività di ricerca svolta con un protocollo di osservazione naturalistica è tuttora in corso e prevede un follow-up di due anni.

I risultati preliminari dopo 6 mesi di follow-up, in un campione di persone che accedono per la prima volta al CSM per una richiesta di aiuto, hanno evidenziato che l’approccio DA può essere applicato con successo e con esiti clinici e funzionali che confermano i dati presenti in letteratura. Il confronto tra il CSM sperimentale che ha applicato DA e quello di controllo ha mostrato che nel campione di utenti trattati con DA il miglioramento clinico alle scale sul Funzionamento Globale (GAF) e CORE-OM era statisticamente significativo rispetto al campione trattato con gli interventi di routine (v. Tabella 1).
Una differenza significativa è stata riscontrata anche per i tassi di dimissioni dal servizio; a 6 mesi, nel gruppo sperimentale, quasi il 50% dei soggetti è stato dimesso dal servizio (gruppo di controllo = 12,5%); inoltre, più del 50% del gruppo in terapia con DA è stato trattato senza farmaci (gruppo di controllo = 11%).

Tabella 1. Risultati del confronto in alcune valutazioni di esito dopo 6 mesi di follow-up tra il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo

§Fisher’s exact test
*Wilcoxcon-Mann-Whitney non parametric test

Le cause di questi rilevanti e positivi risultati negli utenti trattati con DA possono essere diverse; tra di esse ci pare che un fattore cruciale sia la valorizzazione e il coinvolgimento delle reti familiari e sociali con la finalità di favorire l’inclusione sociale e normalizzare la crisi psichiatrica.
L’approccio DA promuove l’inclusione sociale attraverso il dialogo, coinvolgendo attivamente sia la famiglia che la rete sociale nel processo terapeutico; la finalità del dialogo è di costruire una comunità che si prende cura delle persone più sensibili e vulnerabili e s’impegna in una comprensione condivisa e normalizzante della crisi psichica; questo potrebbe essere uno dei più importanti fattori terapeutici che influisce positivamente sul miglioramento clinico e sul funzionamento globale.

Diversi studi supportano l’evidenza che l’implementazione di programmi di inclusione sociale e/o risocializzazione normalizzante, in persone affette da gravi malattie mentali può determinare miglioramenti significativi in diverse dimensioni psicopatologiche e di funzionamento sociale[4].
Va, inoltre, sottolineato il ruolo centrale svolto nei team dagli infermieri: questo dato apre nuove prospettive sull’utilizzo operativo di questa professione. Il grande entusiasmo con cui gli infermieri hanno partecipato a questo studio e gli ottimi risultati terapeutici ottenuti suggeriscono una profonda riflessione da parte di tutti i responsabili dell’organizzazione dei servizi di salute mentale sull’importante ruolo delle figure professionali non mediche.
Questi risultati supportano la fattibilità e l’efficacia degli interventi di DA nei centri di salute mentale e suggeriscono un utilizzo dell’approccio dialogico anche in altri contesti come gli SPDC o nella gestione di sistemi organizzativi complessi nei quali è necessario sviluppare un ampio e articolato lavoro di rete. Il DSM di Modena ha in corso un progetto di formazione e implementazione dell’approccio dialogico, coinvolgendo progressivamente diverse unità operative.

Bibliografia

  1. Olson M, Seikkula J, Ziedonis D. (2014). The key elements of dialogic practice in Open Dialogue: Fidelity criteria. The University of Massachusetts Medical School. Worcester, MA.
  2. Seikkula J, Aaltonen J, Alakare B, HaarakangasK, Keränen J, Lehtinen K. Five-year experience of first-episode non affective psychosis in open-dialogue approach: Treatment principles, follow-up outcomes, and two case studies. Psychotherapy Research 2006; 16(2): 214-228
  3. Pocobello R, Salamina G, Rossi C, Alonzi C. Open Dialogue in Italy: From
    project to programme. The UK Peer-Supported Open Dialogue Bulletin, 2016.
  4. Mazzi F, Baccari F, Mungai F, Ciambellini M, Brescancin L, Starace F. Effectiveness of a social inclusion program in people with non-affective psychosis. BMC Psychiatry 2018; 18(1):179.