Una riflessione su come gli indicatori rappresentano la salute mentale e possono determinarne o condizionarne la valutazione e l’evoluzione dei servizi. Una questione assai rilevante specie se si tiene conto che l’organizzazione dei servizi italiani rende difficile il confronto internazionale.

Di Pietro Pellegrini [1]

Introduzione

Tra i meriti della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (SIEP) vi è certamente quello di avere elaborato i dati 2015 e 2016 relativi alla Salute Mentale del Ministero della Salute e di avere prodotto due “Quaderni SIEP” [2] . Un approccio che pone le basi per una discussione meno impressionistica sulla salute mentale la quale riguarda inevitabilmente livelli diversi, etico, politico, legislativo, organizzativo, fino alle pratiche professionali sempre connotate dall’evoluzione storica dei servizi e dalla loro collocazione territoriale.

Come noto, la chiusura degli Ospedali Psichiatrici e più recentemente di quelli Giudiziari non è stata accompagnata da dati epidemiologici nazionali e quindi mancano riferimenti condivisi per le valutazioni certamente non facilitate dalla grande eterogeneità dei servizi su base regionale e locale. Se i contesti costituiscono una variabile che può condizionare la salute mentale e il benessere, possono contribuire a spiegare e dare senso ai dati rilevati comprese le differenze dei servizi? In altre parole, queste sono all’interno di differenze regionali e territoriali, relative alla composizione della popolazione, alle attività produttive, politiche sociali e sanitarie?

In questo breve contributo cercherò di riflettere su come gli indicatori rappresentano la salute mentale e possono determinarne o condizionarne la valutazione e l’evoluzione dei servizi. Una questione assai rilevante specie se si tiene conto che l’organizzazione dei servizi italiani rende difficile il confronto internazionale.

Quali indicatori?

I “Quaderni SIEP” riportano indicatori che possono essere raggruppati in indicatori di Struttura, Processo e Risorse. Il riferimento alla media nazionale valutando poi gli scostamenti regionali, tuttavia, è un parametro certo ma non esaustivo specie sotto il profilo qualitativo. Ad esempio il dato sui Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO) come espressione di stili operativi: la media nazionale di 16 per 100 mila abitanti/anno può essere il riferimento di una buona pratica clinica? Regioni che si collocano sotto la media nazionale sono in una condizione di eccellenza o non vi è anche il rischio di abbandono? O diamo per acquisito che la tendenza a zero dei TSO è comunque una buona pratica?

Per la rete residenziale, oggetto di molteplici critiche, pare necessaria una più accurata e dettagliata classificazione delle strutture, ad esempio secondo la proposta della Conferenza delle Regioni, altrimenti si rischia di avere una sommatoria incomprensibile di strutture differenti.

Per completare il quadro è interessante il recente lavoro di Starace e Baccari[3] nel quale sperimentalmente sono stati analizzati gli indicatori del “Nuovo Sistema di Garanzia dei LEA” che verrà applicato a partire dal 2020 e per la salute mentale prevede i seguenti indicatori di proxy:

  1. Tasso di ospedalizzazione per patologie psichiatriche soggetti con più di 18 anni/popolazione residente maggiorenne.
  2. Reingressi in psichiatria da 8 a 30 giorni dalla dimissione/tot dimissioni.
  3. Numero di TSO anno a residenti maggiorenni/tot. Popolazione residente maggiorenne.
  4. Tasso di ospedalizzazione per patologie psichiatriche soggetti con meno 18 anni/popolazione residente con meno di 18 anni.

Posto che risulta inapplicabile il dato relativo ai minori e che gli indicatori proposti sono in larga misura collegabili all’attività ospedaliera, la SIEP propone altri indicatori rilevabili dai flussi informativi, espressione dell’attività territoriale:

  1. del tasso di incidenza trattata, ossia dei nuovi casi che il sistema di cura accoglie;
  2. del numero medio di prestazioni che ciascun utente riceve nel corso dell’anno;
  3. della continuità assistenziale, ossia della proporzione di persone dimesse da un ricovero ospedaliero/ residenziale, che vengono visitate presso il CSM entro 14 giorni.

Alla luce degli indicatori scelti per i Livelli essenziali di assistenza (LEA), che per altro nulla dicono su un ampio sistema come quello delle Residenze, la SIEP ha effettuato valutazioni delle performance regionali che risultano alquanto differenti e portano ad interpretazioni per nulla univoche. Ad esempio la Regione Emilia Romagna risulta la peggiore per gli indicatori “ospedalieri” e la migliore per quanto attiene quelli “territoriali”. Verrebbe una sommaria considerazione: visto che alcuni indicatori sono positivi se tendono al minimo, dove si fa molto (anche perché vi sono le risorse) tutto va verso il massimo.

Gli indicatori dei nuovi LEA considerano “positivo” un basso numero di ricoveri ospedalieri, di TSO e di reingressi entro 30 gg.[4] che tradotti in numeri significano un valore di meno di 250 ricoveri ospedalieri/anno/100mila abitanti, di 10 TSO/100mila ab./anno, meno di 8 riammissioni in ambiente ospedaliero entro 30 gg. sul totale delle dimissioni.

Come sappiano nessun dato è neutro e l’attribuzione di valore può essere oggetto di discussione. Questi indicatori di processo sganciati dalle dotazione di strutture e risorse, dagli stili operativi possono avvalorare servizi “poveri” (la Basilicata come il Friuli?)? O spingere i centri di salute mentale ad adottare atteggiamenti di delega, addirittura abbandonici?  O al contrario promuovere lungodegenze e la bassa propensione al rischio?
Ad un stesso risultato si può arrivare in diversi modi. Ad esempio la carenza di letti ospedalieri potrebbe sia ridurre l’ospedalizzazione sia ritardare il reingresso oltre i 30 gg. e magari ridurre i TSO. Ma anche se l’utenza seguita viene ridotta può contribuire a raggiungere l’obiettivo, fino al paradosso del servizio perfetto, ma “vuoto”.

Se gli indicatori poggiano su una valida impostazione etica e tecnica, quindi su una volontà di dare un servizio alle persone e su risorse adeguate, possono certamente essere uno stimolo al miglioramento. Ma se poggiano su sistemi sottofinanziati, come quelli della maggior parte delle Regioni, il rischio di una loro autonomizzazione è alto. Se i servizi possono lavorare per gli indicatori valorizzati e se i risultati di eccellenza si raggiungono con poco: perché investire?

In altre parole, gli indicatori dovrebbero almeno essere corretti per popolazione seguita e per risorse anche perché i LEA dovrebbero essere a garanzia del cittadino. A questo proposito l’applicazione dei nuovi indicatori dei LEA dovrebbe essere subordinata ad una dotazione di risorse del 5% della spesa sanitaria (la media nazionale è 3,5%). Dato reso ancora più critico dalla progressiva riduzione dell’erogazione delle pensioni di invalidità, delle indennità di accompagnamento e delle prestazioni sociali. Una condizione che pone molti pazienti gravi in condizioni economiche tali da trovarsi al di sotto del “minimo vitale”.  Per quanto i servizi stiano facendo il possibile, un dato deve essere molto chiaro: la psichiatria di comunità pubblica sconta un grande divario domanda/offerta, in quanto se si stima che almeno il 15% della popolazione in un anno abbia un disturbo mentale, i servizi riescono a seguire solo l’1,6% della popolazione non coprendo nemmeno tutti i disturbi gravi (considerati al 4%).

Ci sono altri indicatori?

Sul piano teorico possiamo migliorare gli indicatori ed evidenziare la qualità dei servizi, degli interventi psicoterapici e psicosociali, dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) e delle pratiche adottate nei contesti ospedalieri (ad esempio no restraint e “porte aperte” o presenza  di contenzioni e coercizione), ed avere qualche indicatori di esito, ad esempio in termini di inclusione sociale e lavorativa. In altre parole il sistema degli indicatori è autocentrato, “gestionale” e sembra ancora non capace di cogliere il punto di vista, l’apporto degli utenti, la tutela dei diritti e della salute e l’impegno per un lavoro di community. Questo è tanto più rilevante se si tiene conto che i LEA sono a tutela dei cittadini sebbene manchino i LEA Sociali. Non vi sono dati sugli eventi sentinella (ad esempio i suicidi), le aggressioni, i reati, gli incidenti.

Relativamente ai PDTA, come ad esempio quello sugli esordi psicotici, essendo il core di un servizio di salute mentale sarebbe opportuna una rilevazione. I dati sono critici e, come rileva Lora, “solo la metà dei pazienti con disturbo mentale grave mantiene una terapia con farmaci specifici a sei mesi dalla prima prescrizione nell’anno.”[5]

I dati sulla rete residenziale indicano la presenza circa 29mila ospiti e da più parti si nota come il sistema sia ancora troppo incentrato su cronicità e riparazione. Certamente la rete deve evolvere verso forme diverse per rispondere ai bisogni nuovi, fare inclusione e impresa sociale magari mediante strumenti innovativi come il Budget di Salute, co-recovery, interventi “a responsabilità sociale”, community lab, lavoro con cure primarie e sistemi di prossimità. Un tema complesso, se si tiene conto dell’evoluzione di altri sistemi, come ad esempio quello degli anziani non autosufficienti, che ha visto, per molteplici ragioni, un’esplosione di posti residenziali e nonostante la presenza di oltre trecentomila posti essi sono considerati insufficienti.[6] Un dato che fa riflettere specie a fronte di conoscenze scientifiche e gestionali come il “Chronic Care Model” i quali indicano che la cronicità può essere sempre gestita a domicilio. Una riprova che a determinare il futuro dei servizi sono i fattori socio-familiari, quelli economici, politici ed etici.

I determinanti

Come è stato nel passato, a determinare il futuro dei servizi sarà più il livello etico della società che quello delle conoscenze tecnico scientifiche[7].  Berrios[8] riferendosi alla psichiatria scrive: “il suo futuro e la sua (possibile) dissoluzione non saranno determinati dalla ricerca (“conoscenza”) scientifica ma da complessi fattori socioeconomici ovvero da decisioni prese dai governi in base a più ampi bisogni sociali ed economici.” (pag. 14). Quindi, secondo Berrios, non sarà l’etica ma saranno direttamente i fattori socio-economici a determinare il futuro. Uno scenario ancora più inquietante se si pensa a come dagli anni 80 del secolo scorso e ancor di più dal 2008 i sistemi economici e finanziari tengono in scacco le persone, i sistemi di welfare, gli stati.

In questo clima è possibile una deriva a legislazione parzialmente invariata e per chi vuole ostacolarla è fondamentale ricordare come la legge 180 abbia come riferimento la Costituzione e il sistema di welfare pubblico e universalistico; quindi un preciso patto sociale e diritti esigibili come base ineludibile per la salute mentale. Così i diritti, in un’ottica biopsicosociale, diventano fondamentali. Cure e care si uniscono.

Il patto sociale non è più esplicito e condiviso, ma un mix di posizioni sempre meno compatibili nella misura in cui si inizia a teorizzare che una parte delle persone ha meno diritti è da escludere, è inferiore, e meno umana. A fronte di questo, la psichiatria si accomoderà a fianco del potere o delle persone? O il potere, vista la sua scarsa utilità nei processi repressivi, deciderà di abbandonare la psichiatria, al pari di molte altre organizzazioni di aiuto? O saranno gli stessi operatori, stanchi degli attacchi, delle frustrazioni, delle trattative continue, a chiedere soluzioni forti, ad aggregarsi ad un potere più coercitivo? Non sarebbe certo la prima volta nella storia.  Come si è detto, etica, fattori socioeconomici, politiche e potere, posizioni e vissuti degli operatori vengono prima delle conoscenze tecniche e della stessa organizzazione dei servizi.  Ma l’ordine nel quale si collocano questi fattori non è affatto neutrale e provare a definirlo e insieme esplicitare quali sono gli indicatori etici, socioeconomici di potere per quanto attiene la salute mentale può essere importante o forse ancora più rilevante di quanto non sia definire gli indicatori dei servizi.

Note e riferimenti bibliografici

  1. Pietro Pellegrini, Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma.
  2. Quaderno SIEP 2019 Salute Mentale in Italia La Mappa delle Disuguaglianze. A cura di Starace F, Baccari F, Mungai F.
  3. Starace F, Baccari F. Salute Mentale. Le performance in ospedale e sul territorio: grandi difformità regionali. L’analisi della Siep basata sui nuovi indicatori del sistema di garanzia dei Lea. Quotidiano Sanità, 26.04.2019
  4. “La performance è stata considerata sufficiente (0) se i valori regionali erano compresi tra il primo e il terzo quartile della distribuzione nazionale; più che sufficiente (+3), se i valori erano inferiori o uguali al primo quartile; insufficiente (-3), se i valori erano superiori o uguali al terzo quartile. La simulazione è stata condotta sui primi tre indicatori, relativi alla popolazione adulta.”  (Vedi nota 3)
  5. La qualità della cura nei disturbi mentali gravi in Lombardia. A cura di Antonio Lora e Emiliano Manzano. Eupolis Lombardia, 2015
  6. “La Commissione europea identifica in 50-60 posti letto ogni mille abitanti superiori ai 60 anni il parametro standard di offerta di Rsa, ma in Italia l’offerta è di 18,5 posti letto ogni mille abitanti, peraltro suddivisa con grandi squilibri all’interno del territorio nazionale, con una netta concentrazione nelle Regioni del nord.” Evelina Marchesini . Residenze per anziani, gli investimenti crescono del 15-20% all’anno. Sole24Ore, 20.04.2017
  7. Bauman Z. Vite di scarto. Bari: Laterza, 2004.
  8. Berrios GE. Per una nuova epistemologia della psichiatria.  Roma: Fioritti Editore, 2016.