Antonio Maone
Sono stati recentemente pubblicati i risultati di un follow-up a 20 anni su pazienti con disturbi dello spettro schizofrenico al primo episodio1.
L’articolo riguarda uno studio multicentrico randomizzato realizzato in Danimarca della durata di 2 anni (1998-2000). L’intervento intensivo, denominato “Specialized Early Intervention Services” (EIS) consisteva in un programma di “Assertive Community Treatment, Social Skills Training” , psicoeducazione e interventi familiari. Il gruppo di controllo era costituito da pazienti in trattamento di routine (“Treatment As Usual”, TAU) disponibile nei servizi di salute mentale territoriali.
Al termine dello studio i sintomi negativi e positivi, principalmente le allucinazioni, sono risultati significativamente ridotti nel gruppo sperimentale (OPUS) rispetto al gruppo di controllo (TAU). Il successo dello studio ha fatto sì che l’intervento OPUS sia stato poi implementato a livello nazionale in Danimarca come trattamento standard per tutti i casi incidenti di schizofrenia.
Ma al follow-up a 5 anni, e con maggiore consistenza in quelli a 10 e 20 anni, non sono emerse differenze significative fra i due gruppi. Non sono state riscontrate differenze nelle condizioni di vita, sui deficit cognitivi, sull’uso di antipsicotici, sulla salute fisica e mentale auto-valutate, sulla qualità della vita, sulla remissione dei sintomi.
Si tratta dell’unico studio randomizzato e controllato di tale ampiezza temporale finora condotto in questo campo. Da qui la particolare rilevanza che esso potrebbe assumere nel far luce su ciò che accade alle persone seguite nei servizi di salute mentale lungo il decorso dopo il primo episodio, al di là dei risultati ottenuti nei setting sperimentali.
Malgrado i limiti di generalizzabilità che uno studio di questa portata implica necessariamente (soprattutto, fra l’altro, legati alle difficoltà di rintracciare i pazienti delle coorti iniziali dopo molti anni e valutarne i percorsi e le condizioni con sufficiente attendibilità), esso fa emergere e mette a fuoco con una certa chiarezza alcuni aspetti critici ripetutamente proposti e che restano sostanzialmente irrisolti. Aspetti critici che, in altri termini, porrebbero questo campo di ricerca in una delle tipiche “aree grigie” dell’evidence-based.
Le aree grigie dell’evidence-based
La questione concerne l’effettiva rilevanza di evidenze ottenute con interventi psicosociali “intensivi” di durata limitata. È un’area di studio piuttosto eterogenea, sia per il tipo di interventi, sia per le popolazioni indagate, sia per gli esiti valutati.
In generale, da questa piuttosto ampia letteratura emerge costantemente una apparente utilità di singoli interventi psicosociali (o integrati fra loro) su vari tempi e aspetti del decorso e degli esiti dei disturbi schizofrenici: in particolare gli interventi sulle famiglie, quelli psicoeducativi, la psicoterapia cognitivo-comportamentale. Una recente meta-analisi pubblicata su Lancet Psychiatry2 che ha “estratto” da questa vasta messe di studi quelli che hanno tenuto conto, come esito primario, solo del tasso di ricadute (misurate con criteri operazionalizzati o come episodi di ospedalizzazione) al follow-up di un anno, giunge sostanzialmente ad analoghe conclusioni. Tali “evidenze” si traducono poi in raccomandazioni e linee guida, come è appunto anche il caso dello studio OPUS, citato nelle raccomandazioni del PORT “Psychosocial Treatment Recommendations”3, o nelle revisioni Cochrane4.
Lo studio OPUS nel mondo reale
Un successivo studio OPUS5 di coorte (OPUS-real-world, non randomizzato e controllato) ha tentato di ampliare ulteriormente l’osservazione, applicando un confronto di fase 4 per valutare gli esiti dello stesso intervento che era stato oggetto dello studio randomizzato e controllato OPUS-RCT originario. Grazie all’implementazione del modello a livello nazionale, è stato così possibile ottenere dati sugli effetti nel mondo reale su un campione molto più numeroso in 10 anni (2003-2014). Gli indicatori di esito rilevati non sono stati, per limiti metodologici, tutti quelli rilevati nello studio originario, limitandosi a ricoveri ospedalieri, prescrizioni di farmaci, stato civile e professionale e decessi.
Sorprendentemente, rispetto ai pazienti del gruppo sperimentale dell’OPUS-RCT, i pazienti che hanno ricevuto lo stesso trattamento dopo l’implementazione a livello nazionale hanno avuto meno e più brevi ricoveri psichiatrici e tassi più elevati di occupazione e di relazioni di coppia, una mortalità inferiore e meno prescrizioni di farmaci antipsicotici.
Tuttavia, come è stato fatto notare in un autorevole editoriale sull’American Journal of Psychiatry6, tali risultati sembrano essere, ad un’analisi più approfondita dei dati grezzi, più controversi e “mixed” di quanto sembrasse, benché ciò non ne comprometta la validità. Si tratta di interventi condotti in contesti e tempi differenti, e senza gruppi di controllo. Peraltro il confronto è stato condotto sui pazienti del gruppo sperimentale del precedente studio RCT, ma non su quelli del trattamento standard dello stesso studio. Una base di confronto più solida per valutare tali dati, come gli stessi autori dello studio ammettono, sarebbe l’uso di una coorte nazionale contemporanea di pazienti non trattati con OPUS, ma ciò non è stato possibile dopo l’implementazione a livello nazionale.
Resta quindi difficile determinare se, in generale, i vantaggi di OPUS rispetto al trattamento standard siano suscettibili di persistere nel post-trattamento nel mondo reale.
In definitiva, lo studio OPUS dovrebbe indurre a ripensare in modo piuttosto radicale l’effettiva rilevanza di interventi che ottengano l’attributo di evidence-based grazie a valutazioni degli esiti a breve termine, e da cui ci aspetta una generalizzazione e un consolidamento nel tempo dei miglioramenti ottenuti.
Si potrebbe concludere, piuttosto, in estrema sintesi, che gli effetti positivi ottenuti persistano fintanto che l’intervento sia in corso, per poi estinguersi nel corso degli anni successivi. Ciò richiederebbe la necessità di un approccio diverso, altamente flessibile, che si adatti ai bisogni modulando con tempestività l’intensità del supporto necessario nel lungo termine, che garantisca la reperibilità e la continuità senza limiti temporali predefiniti, senza che ciò si traduca necessariamente in dipendenza istituzionale.
NOTE
1 Hansen HG, Starzer M, Nilsson SF, Hjorthøj C, Albert N, Nordentoft M. Clinical Recovery and Long-Term Association of Specialized Early Intervention Services vs Treatment as Usual Among Individuals With First-Episode Schizophrenia Spectrum Disorder: 20-Year Follow-up of the OPUS Trial. JAMA Psychiatry. 2023 Apr 1;80(4):371-379. doi: 10.1001/jamapsychiatry.2022.5164.
2 Bighelli et al. (2021) Psychosocial and psychological interventions for relapse prevention in schizophrenia: ystematic review and network meta-analysis.
3 Dixon et al., Schizophrenia Patient Outcomes Research Team (PORT). The 2009 schizophrenia PORT psychosocial treatment recommendations and summary statements. Schizophr Bull. 2010 Jan;36(1):48-70.
4 Pharoah et al., Family intervention for schizophrenia. Cochrane Database Syst Rev. 2010 Dec 8;(12
5 Posselt et al., The Danish OPUS early intervention services for first-episode psychosis: a phase 4 prospective cohort study with comparison of randomized trial and real-world data . Am J Psychiatry 2021 ; 178 : 941 – 951
6 Cannon TD, Do the Benefits of Early Intervention Services for Psychosis Generalize and Persist in the Real World? American Journal of Psychiatry, 2021. https://ajp.psychiatryonline.org/doi/10.1176/appi.ajp.2021.21080792