In una recente intervista a POL.IT il presidente SIEP, Fabrizio Starace, ha espresso la sua visione critica sull’attuale assetto dei DSM e ha indicato le linee di sviluppo che dovrebbero caratterizzare l’innovazione necessaria in Salute Mentale. Riportiamo di seguito i passaggi più significativi dell’intervista.

L’organizzazione delle Aziende Sanitarie e dei DSM

… ho l’impressione che nella costruzione delle organizzazioni sanitarie le evidenze scientifiche vengano ricercate, nella migliore delle ipotesi, “dopo” aver assunto una decisione e non “prima”; mi pare cioè che i “drivers” che contano, quando si definisce l’architettura delle aziende sanitarie, siano quasi sempre di natura politico-economica. Ti faccio un esempio: l’accorpamento delle ASL, largamente perseguito nel nostro Paese, non si fonda su alcuna evidenza di maggiore efficacia, anzi alcuni autorevoli gruppi di ricerca non esitano a criticarla apertamente. In teoria è una misura di buon senso specie in ambito ospedaliero (per evitare, ad esempio, di avere due ospedali generalisti vicini, con una inutile e dispendiosa duplicazione di funzioni e di offerta e per garantire l’uso più efficiente di tecnologie ad alto costo), ma può avere, ed ha, conseguenze molto negative in ambito territoriale dove è strategico il radicamento, la conoscenza diretta, la relazione con la comunità di riferimento…

I Dipartimenti integrati di salute mentale, dipendenze patologiche e neuropsichiatria infantile

Credo che più che un’opportunità sia una necessità per almeno due buone ragioni: 1) per garantire la continuità della cura nell’arco di vita, ad esempio negli adolescenti quando varcano la soglia della maggiore età; 2) per affrontare appropriatamente le condizioni di comorbidità tra disturbi psichiatrici e dipendenze, che sono ormai la regola negli utenti dei nostri servizi. Non possiamo più permettere che siano gli utenti o i loro familiari a dover esercitare la funzione di aggregazione di visite, interventi, prestazioni erogati da servizi diversi; non è concepibile che nella sanità del terzo millennio, quella dell’integrazione, della “persona al centro”, i professionisti continuino a svolgere la loro funzione in modo settoriale, senza che la mano destra sappia cosa fa (e cosa prescrive) la mano sinistra… Dobbiamo affrancarci dall’idea di trasporre sul territorio modelli ospedalieri che (anche nell’ospedale) vengono sottoposti a profonda revisione.

La formazione specialistica e l’integrazione tra università e servizi territoriali

È del tutto evidente che questa modalità organizzativa dovrebbe procedere di pari passo con (anzi idealmente dovrebbe essere preceduta da) una profonda revisione del corso di studi dei medici in formazione specialistica, suddividendolo, come avviene in molti Paesi più avanzati, in un periodo formativo comune seguito da un ulteriore periodo formativo specifico, caratterizzante la scelta della psichiatria adulta, della psichiatria infantile e adolescenziale, della psichiatria delle dipendenze. Purtroppo la logica dell’inerzialità e delle rendite di posizione ha condotto il nostro Paese alla situazione che abbiamo sotto gli occhi: ad oggi non esiste una specializzazione per chi lavora nei servizi per le dipendenze; la specializzazione in neuropsichiatria infantile mette assieme componenti estremamente diverse ed è sottodimensionata rispetto al fabbisogno dei servizi pubblici; la psichiatria continua a sfornare specialisti pronti ad operare sulla polarità ambulatorio-ricovero, ma poco attrezzati sulle tematiche proprie della salute mentale di comunità.

La psichiatria “clinostatica” e quella “ortostatica”

… le coordinate che ci aiutano a caratterizzare un sistema di cura da un altro sono l’orientamento al posto letto, in tutte le sue declinazioni, ospedaliere o residenziali che siano, o l’orientamento al territorio, con tutte le opzioni attivabili: da quella del CSM 24h, ai team per l’intervento domiciliare intensivo, alle attività a ciclo diurno, solo per fare qualche esempio. Per semplificare, potremmo parlare di una psichiatria che privilegia la posizione clinostatica, e di una psichiatria che guarda ed interagisce con la persona sofferente per tenerla (o rimetterla) in piedi, in posizione ortostatica.

 

L’intervista completa è consultabile su Psychiatryonline.it