In vari articoli apparsi negli ultimi anni, il quotidiano inglese The Guardian ha segnalato all’opinione pubblica il fatto che in Gran Bretagna oltre 3.500 pazienti con disturbi mentali sono collocati in strutture che, benché definite “Rehabilitation Units”, sono in realtà reparti chiusi di stile custodialistico ad alta restrittività (ovvero, il personale controlla tutti gli accessi, il reparto ha una “camera di compensazione” e un perimetro esterno vigilato, ecc.), con tempi di degenza obbligatoria anche molto prolungati.

Il caso giornalistico in realtà fa riferimento a documenti ufficiali della Care Quality Commission (CQC), “cane da guardia” per la qualità dell’assistenza del Servizio Sanitario Nazionale. In seguito a una serie di ispezioni, dal 2016 è stata ripetutamente espressa seria preoccupazione circa questa situazione, rivelatrice di un “sommerso” caratterizzato da livelli di “assistenza obsoleta e talvolta istituzionalizzata”, in cui molte persone che sarebbero in grado di vivere una vita indipendente con il supporto adeguato vengono tenute rinchiuse a lungo termine e private dei diritti (Vedi il rapporto The state of care in mental health services 2014 to 2017. Dai report della CQC pubblicate tra il 2014 e il 2016, è risultato che 55 strutture (il 70% delle quali nel settore privato) su 81 erano “chiuse” (locked).

Secondo il membro del parlamento Norman Lamb, “ciò che stiamo facendo è una violazione fondamentale dei diritti umani delle persone. ‘Reparto di riabilitazione chiuso’ è una completa contraddizione in termini. Ciò non significa che si tratti in tutti i casi di una riedizione dei vecchi manicomi, tuttavia il problema è che le persone finiscono in queste unità e vi rimangono per troppo tempo semplicemente perché non c’è un collegamento con i servizi di salute mentale di comunità che possano sostenere le persone dopo la dimissione” verso soluzioni meno restrittive.
Lo stesso Paul Lelliott, co-fondatore e deputy chief inspector of hospitals del CQC, dichiarava a The Guardian: “Più di 50 anni dopo il movimento per la chiusura dei manicomi, siamo preoccupati di trovare esempi di cure obsolete e per l’elevato numero di persone nei reparti di riabilitazione chiusi. Questi reparti sono spesso situati molto lontano dal domicilio del paziente, il che significa che le persone restano isolate dai loro amici e familiari. Nel XXI secolo, un ospedale non dovrebbe mai essere considerato una ‘casa’ per le persone con un problema di salute mentale”.
Nelle strutture gestite dal settore “indipendente” (cioè privato e rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale), i pazienti vengono infatti molto spesso sradicati dalle proprie comunità di appartenenza e collocati in luoghi lontani da esse, dalle famiglie e dalle reti sociali, rendendo sempre più improbabile la loro inclusione sociale.

Il fenomeno ha avuto origine nel 1999 con l’avvio, da parte del National Service Framework for Mental Health (NSF-MH), di un progetto strategico per i servizi di salute mentale per adulti, ispirato da una politica di de-istituzionalizzazione dell’assistenza psichiatrica, con l’obiettivo di migliorare la qualità e ridurre le variazioni nell’offerta stabilendo standard nazionali e modelli di servizio definiti come parte di un’agenda decennale. Sono stati così realizzati servizi specialistici di salute mentale di comunità (compresi gli interventi nelle crisi, l’intervento precoce, l’assertive outreach).
In questo processo, il NSF-MH sembra aver trascurato l’importanza dei servizi di riabilitazione per i pazienti più gravi. Circa il 25% dei team di riabilitazione comunitari sono stati ribattezzati come team di assertive outreach, riducendo così in modo significativo l’offerta di servizi di riabilitazione residenziale (Vai all’articolo Why disinvesting in mental health rehabilitation services is a false economy)

Nel 2000 il Department of Health’s National Beds Inquiry prevedeva che entro il 2010/11 non ci sarebbero stati posti letto a lungodegenza del NHS, ritenendo che lo sviluppo di farmaci psicotropi e altri trattamenti avrebbe consentito di ridurre i ricoveri.
In seguito, l’interesse politico e mediatico per la salute mentale ha preso a concentrarsi sulle condizioni a più ampia prevalenza, ovvero i disturbi emotivi comuni, e sulle condizioni acute. Di conseguenza, l’assistenza a lungo termine di una quota minoritaria di persone con disturbi mentali gravi e complessi è stato mantenuto ai margini dell’agenda. Questo disinvestimento dei servizi di riabilitazione a gestione pubblica ha provocato invece un incremento progressivo della disponibilità di posti letto per questa tipologia di utenza nel settore privato[1], realizzando ciò che Benedetto Saraceno definiva come spostamento del focus dalla dimensione temporale/esistenziale del paziente alle esigenze legate alla collocazione del provider. Divenendo queste ultime prioritarie, poiché rispondenti ad interessi economici, la questione del dislocamento delle persone in aree lontane dalle proprie comunità di appartenenza è divenuta evidentemente secondaria, benché a sua volta prioritaria ed essenziale al fine ultimo della riabilitazione, cioè l’inclusione sociale.

Peraltro, il costo di tali out of area placements gonfia il costo complessivo dell’assistenza ai pazienti gravi. La maggior parte delle strutture è gestita infatti dal settore privato, che sono più costose di quelle a gestione diretta, e c’è un chiaro disincentivo del mercato alla dimissione dei pazienti al fine di massimizzare i profitti, col rischio che molte persone rimangano ricoverate a costi più elevati per un periodo più lungo del necessario. È stato dimostrato, ad esempio, che, quando le collocazioni sono “fuori area”, i costi aumentano di circa il 65%[1].
Dai dati prodotti da LaingBuisson (importante agenzia di analisi del mercato sanitario), il settore privato riceve quasi 2 miliardi di sterline all’anno per l’assistenza psichiatrica, e due terzi di questa spesa, che secondo LaingBuisson sembra destinata a salire, è assorbita da sole quattro grandi imprese sanitarie [2].

[1] Ryan T., Pearsall A., Hatfield B., Poole, R. (2004) Long term care for serious mental illness outside the NHS: a study of out of area placements. Journal of Mental Health. 13(4) 425–429 [online]. https://doi.org/10.1080/09638230410001729861

[2] Will the mental health market continue to grow?