A cura di Alessio Saponaro
La necessità di un’impellente revisione delle attuali condizioni della residenzialità sulla Salute Mentale – in Emilia-Romagna come in altre regioni – scaturisce da una serie di aspetti che sono stati discussi con i professionisti e con la Consulta Regionale Salute Mentale:
– differenze territoriali rilevanti in merito all’utilizzo delle strutture residenziali;
– elevata permanenza dell’utenza nelle strutture residenziali sanitarie, soprattutto per le strutture riabilitative;
– carente definizione degli obiettivi riabilitativi, con conseguenti scarse possibilità di applicazione delle abilità apprese nei contesti di vita;
– età avanzata degli assistiti inseriti in residenza e, di conseguenza, difficoltà all’ingresso di assistiti giovani;
– bassa adozione di strumenti di valutazione dei requisiti di accesso e di dimissibilità dalle strutture;
– insufficiente prospettiva di inclusione sociale e lavorativa dell’utenza tramite la creazione di legami stabili attivi con le realtà sociali e lavorative del territorio;
– basso livello di utilizzo di strumenti standardizzati di assesment, non solo in riferimento a diagnosi e gravità clinica e funzionale, ma anche ad aspetti sociali, economici e relazionali, e di outcome, sia per definire le priorità e l’appropriatezza degli inserimenti, sia per la valutazione dei risultati ottenuti con il trattamento riabilitativo finalizzato ad obiettivi di recovery e di dimissione possibile.
Alcuni aspetti epidemiologici
L’offerta residenziale dei Servizi di Salute mentale e dipendenze patologiche in Emilia-Romagna: la Regione Emilia-Romagna può contare su un’ampia presenza di strutture residenziali e semiresidenziali, pubbliche e private, che offrono servizi nell’ambito della Salute mentale adulti, Dipendenze patologiche e Neuropsichiatria infanzia e adolescenza. Una rilevazione effettuata al 31 dicembre 2023 ha individuato 412 strutture, per un totale di 5.556 posti letto. Le strutture destinate alla salute mentale degli adulti sono 300, per un totale di 3.118 posti letto, di questi 2.266 si trovano nelle 246 strutture residenziali e 852 nelle 54 strutture semi residenziali. Quelle dedicate al trattamento delle dipendenze patologiche sono 105, per un totale di 2.352 posti letto così distribuiti: 1.396 nelle 85 strutture residenziali e 956 nelle 20 strutture semi residenziali. Le strutture riservate alla neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza sono 7, per un totale di 86 posti letto, di cui 18 nelle 3 strutture residenziali e 68 nelle 4 strutture semiresidenziali.
Disponibilità di strutture sanitarie e sociosanitarie presenti in Regione Emilia-Romagna per ambito (valori assoluti)
Disponibilità di posti letto sanitari e sociosanitari presenti in Regione Emilia-Romagna per ambito (valori assoluti)
A questi vanno aggiunti i punti di accesso alla rete dei servizi di salute mentale, cioè il Centro di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dedicato ai minori e il Centro di salute mentale dedicato agli adulti, entrambi presenti in ogni Distretto dell’Azienda Usl: assicurano servizi di prevenzione, diagnosi e cura in ambulatorio e a domicilio, in collaborazione con i servizi del territorio (a partire da medici e pediatri di famiglia), con i servizi ospedalieri, i servizi sociali dei Comuni, il volontariato e le associazioni di utenti e familiari.
Rapporto Posti letto in strutture su popolazione per i Servizi di Salute Mentale Adulti e Dipendenze Patologiche (Rapporto per 10.000 popolazione maggiorenne Salute Mentale Adulti, rapporto su popolazione minorenne per la neuropsichiatria e per 10.000 popolazione 15-64 anni per le Dipendenze Patologiche).
* per le Dipendenze Patologiche e la NPIA non vi sono informazioni a carattere nazionale.
La riorganizzazione della residenzialità degli adulti
Per far fronte a un elevato aumento degli accessi anche nell’ambito della Salute mentale degli adulti, vanno ripensati i programmi riabilitativi delle strutture residenziali e semiresidenziali. Queste strutture in Emilia-Romagna assorbono il 55% delle risorse dei servizi di Salute mentale, circa 157 milioni di euro nel 2023, ma interessano solo l’8% degli utenti che entrano in contatto con i servizi. Inoltre, la durata della permanenza nelle residenze è elevata: il 37,6% dei pazienti va oltre i 2 anni, mentre il 19,3% supera i 5 anni di soggiorno. In molti casi le degenze evolvono in un’istituzionalizzazione dei pazienti, e le residenze diventano “case per la vita”.
La riorganizzazione intende intervenire su questo aspetto mettendo al centro il concetto di recovery dei pazienti che non significa guarigione o assenza di sintomi, ma raggiungere un livello di benessere e funzionalità che consenta alle persone di vivere una vita piena e significativa al di fuori delle soluzioni residenziali.
Per migliorare efficacia ed efficienza del circuito residenziale viene proposta una serie di strumenti innovativi. Innanzitutto, l’istituzione in ogni Dipartimento di Salute mentale e Dipendenze patologiche di una cabina di regia residenzialità-abitare, con il compito di monitorare e valutare i programmi residenziali dei dipartimenti; a questa si affiancheranno piani regionali e aziendali di formazione del personale, una maggiore integrazione degli strumenti di telemedicina, nuovi criteri di accreditamento delle strutture residenziali, il ricorso a strumenti innovativi di gestione come il “Budget di salute” finalizzato alla recovery – un modello organizzativo che mette le persone e non la patologia al centro dei processi di intervento – e l’incremento di nuove soluzioni abitative come il cluster housing, la coabitazione e l’inserimento etero familiare di adulti.
Tra gli obiettivi attesi, la definizione di una residenzialità che abbia come finalità principale la riabilitazione orientata a collocare le persone nel proprio contesto di vita sociale. Con le strutture residenziali che diventano parti attive in questo percorso di transizione – quando consentito dalle condizioni cliniche dei pazienti – dalla condizione di residenzialità a quella di vita autonoma. Altri risultati previsti sono: la riduzione dei tempi di permanenza nelle strutture e dei tempi di attesa per accedere ad un programma residenziale, la deistituzionalizzazione dei pazienti e un minore ricorso a nuove istituzionalizzazioni, il monitoraggio costante dei programmi avviati e il miglioramento della qualità delle strutture residenziali.
L’innovazione ha avuto le sue origini dal XV Congresso SIEP “Oltre il posto letto: Riabilitare la residenzialità” che si è tenuto a Bologna nel mese di novembre 2023. Sono state presentate le fragilità del modello della residenzialità, ma anche tante proposte innovative che hanno costituito la base dell’innovazione del progetto della Regione Emilia-Romagna.
Per realizzare gli obiettivi di emancipazione ed autonomizzazione, nella fase residenziale occorre pertanto porre sempre attenzione non solo ai bisogni di cura e riabilitazione, ma anche a quelli abitativi, lavorativi e di socialità all’interno della comunità di appartenenza. Il modello del Budget di salute, così come definito dalle Linee di indirizzo regionali e dalle Linee programmatiche nazionali per le sue caratteristiche di centralità della persona vista nel suo contesto di vita, di flessibilità e personalizzazione degli interventi sulla base della valutazione condivisa di bisogni e risorse, finalizzati alla permanenza o al rientro nel domicilio prescelto, di coinvolgimento attivo di tutti i portatori di interesse, risponde a tali esigenze e può costituire un utile riferimento per innovare l’attuale approccio alla residenzialità, ripensandola complessivamente in un’ottica di salute mentale di comunità, incrementando esperienze innovative che favoriscano una sempre maggiore inclusione sociale, coinvolgendo maggiormente la comunità ed il territorio, gli Enti locali, gli Enti del Terzo settore ed il volontariato in genere e, in primis, le persone stesse e le loro famiglie.
In quest’ottica, gli istituti giuridico amministrativi della co-programmazione e coprogettazione possono rivestire un ruolo strategico nel rendere realizzabili gli obiettivi di coinvolgimento partecipato e responsabilizzazione di tutti gli attori, istituzionali e non, e di attivazione comunitaria che rappresentano l’humus necessario a sostenere il passaggio dall’approccio prestazionale a quello fondato sulla valutazione personalizzata delle risorse e dei bisogni che caratterizza i percorsi di cura e riabilitazione orientati alla recovery.
Resta inteso che la finalità ultima di tutto il documento è di definire una residenzialità che propone la recovery come obiettivo principale, orientata a ricollocare le persone nel proprio contesto di vita sociale, ampliando il proprio intervento a tutti gli “assi” fondamentali per l’inclusione, compresi il lavoro e le relazioni sociali, favorendo il riappropriarsi della propria dimensione di vita in tutte le fasi del percorso in strutture residenziali e non solo in quella finale.