Una rilettura del contributo della Moncrieff che descrive due modelli esplicativi dell’azione dei farmaci psicotropi: quello centrato sulla malattia e quello centrato sul farmaco.

Antonio Maone
Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma/A

In uno scritto [1] di qualche anno fa la Moncrieff [2] descrive due modelli esplicativi dell’azione dei farmaci psicotropi: “Il modello centrato sulla malattia è mutuato dalla medicina e descrive i farmaci attraverso il prisma della malattia, del disturbo o della costellazione di sintomi che si intende trattare. In accordo a questa visione, si ritiene che gli psicofarmaci producano i loro effetti su un sistema nervoso malato o anormale. Gli effetti ritenuti importanti di questi farmaci sono quelli che agiscono sul processo morboso. Tutti gli altri effetti sono di secondario interesse e vengono definiti “effetti collaterali”. Un esempio dalla medicina, spesso citato dagli psichiatri nel tentativo di rinforzare il modello di azione centrato sulla malattia, è l’utilizzo dell’insulina nel diabete. Rimpiazzando la carenza dell’ormone insulina, il trattamento insulinico porta l’organismo verso un funzionamento più normale. Tuttavia, anche trattamenti sintomatici come gli analgesici agiscono secondo un modello centrato sulla malattia, poiché agiscono contrastando alcuni processi fisiologici che producono il dolore.

Al contrario, il “modello di azione centrato sul farmaco” propone una visione che, ben lontana dalla correzione di uno stato anormale, considera gli psicofarmaci stessi come induttori di uno stato anomalo o alterato. I farmaci psicotropi sono sostanze psicoattive, come l’alcol o l’eroina. Le sostanze psicoattive modificano le funzioni cerebrali e facendo ciò producono alterazioni del pensiero, delle emozioni e del comportamento. Le sostanze psicoattive esercitano la loro azione in chi li assume, indipendentemente dal fatto di essere o meno affetti da un disturbo mentale. E comunque differenti sostanze psicoattive producono effetti differenti. Il modello centrato sul farmaco supporta l’idea che gli effetti psicoattivi prodotti da alcuni farmaci può essere terapeuticamente utile in alcune situazioni. Essi non fanno ciò nel modo in cui il modello centrato sulla malattia suggerisce, cioè normalizzando le funzioni cerebrali. Lo fanno creando un anormale o alterato stato cerebrale che reprime le manifestazioni della malattia o vi subentra.

Un esempio diffuso del modello centrato sul farmaco sono gli effetti dell’alcol sulle persone che soffrono di fobia sociale o timidezza patologica. L’alcol aiuta a ridurre l’ansia sociale non perché corregga un sottostante squilibrio chimico, bensì perché le caratteristiche dell’intossicazione da alcol includono rilassamento e disinibizione. È il sovrapposto stato di intossicazione in sé che aiuta, non gli effetti della sostanza sul meccanismo della malattia.

Un altro esempio interessante è l’utilizzo di analgesici oppioidi, come la morfina. Gli oppiacei esercitano un effetto diretto “centrato sulla malattia”, rallentando la conduzione dei segnali nelle cellule nervose, ma hanno anche ben noti effetti psicoattivi. Essi inducono un caratteristico stato alterato in cui la persona diviene emotivamente distaccata o indifferente – condizione a volte riferita come “anestesia emotiva”. Persone che hanno assunto oppiacei per il dolore spesso dicono di aver sentito comunque dolore, ma che di questo dolore non gli importava più nulla. Questo è un effetto “centrato sul farmaco”, in quanto dimostra che la copertura dell’esperienza del dolore avviene grazie all’alterazione dell’esperienza emotiva indotta dalla sostanza.

Quando i moderni psicofarmaci furono introdotti negli anni Cinquanta, essi venivano compresi in accordo al modello centrato sul farmaco. Gli antipsicotici, per esempio, che all’epoca erano noti come “tranquillanti maggiori”, erano considerati come un tipo particolare di sedativi. Si riteneva che essi avessero peculiarità uniche in situazioni come un episodio psicotico acuto, poiché potevano frenare il pensiero e attenuare l’emotività, quindi non solo semplicemente inducendo il sonno; tuttavia non erano considerati un trattamento indirizzato alla malattia. A partire dagli anni Settanta, però, questo modo di vedere si eclissò, il modello centrato sulla malattia divenne dominante, e i farmaci psicotropi vennero considerati come trattamenti specifici che funzionavano avendo come bersaglio un sottostante processo anomalo o morboso. Questo cambiamento si è rivelato ancora più chiaramente nel modo in cui i farmaci sono stati poi definiti e classificati. Prima degli anni Cinquanta i farmaci erano classificati in base alla natura degli effetti psicoattivi che producevano. I farmaci esistenti erano approssimativamente classificati come sedativi o stimolanti del sistema nervoso. In seguito, i farmaci iniziarono a essere definiti e classificati sulla base della malattia o del disturbo che si pensava trattassero: antipsicotici, antidepressivi, ansiolitici ecc.

Il predominio del modello esplicativo dell’azione del farmaco centrato sulla malattia non è avvenuto in virtù di schiaccianti evidenze di una sua superiorità o veridicità. Non c’è stata allora, e non c’è oggi, la convincente evidenza che ogni classe di farmaci psicotropi ha una sua azione specifica per la malattia e centrata sulla malattia. Non c’è stato peraltro alcun reale dibattito circa teorie alternative sull’azione del farmaco. Il modello centrato sulla malattia è semplicemente subentrato e la visione centrata sul farmaco è venuta meno. Si è dimenticato che c’era sempre stato un altro modo di comprendere come i farmaci psicotropi potessero funzionare”.

Il lavoro condotto dalla Moncrieff è teso dunque a “riabilitare” il modello esplicativo centrato sul farmaco, nella convinzione che sia il modo giusto di comprendere quali siano gli effetti degli psicofarmaci quando vengono assunti da persone con disturbi mentali. Sono interessanti le conseguenze di ciò, in quanto questo modello esige una più scrupolosa comprensione dell’insieme degli effetti che gli psicofarmaci producono e pone in primo piano il punto di vista che tutti i farmaci sono sostanze chimiche estranee all’organismo che necessariamente modificano il modo in cui esso normalmente funziona.

Esso inoltre focalizza la nostra attenzione sull’impatto che i farmaci psicotropi hanno sul corpo e sul cervello e su tutte le possibili conseguenze che le alterazioni indotte dai farmaci possono avere su come le persone pensano, sentono e si comportano. In conclusione, questo è “un necessario punto di partenza per un uso sensato, prudente e sicuro dei farmaci nei servizi di salute mentale”.

Note e bibliografia

  1. Joanna Moncrieff (Department of Psychiatry and Behavioural Sciences, University College di Londra) si è occupata in particolare degli effetti dei farmaci psicotropi. Ha condotto meta-analisi per la Cochrane Collaboration ed è co-fondatrice e chair di Critical Psychiatry Network. E’ autrice di numerose pubblicazioni, fra le quali i volumi The Bitterest Pills: The Troubling Story of Antipsychotic Drugs (2013) e The Myth of the Chemical Cure: A Critique of Psychiatric Drug Treatment (2009). Nel corso della sua attività ha formulato un modello esplicativo dell’azione dei farmaci psicotropi, definito drug-centred (centrato sul farmaco), alternativo a quello attualmente dominante disease-centred (centrato sulla malattia).
  2. Models of drug action Joannamoncrieff, 21.11.2013