Antonio Lasalvia
UOC di Psichiatria, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata (AOUI) di Verona

In ogni parte del mondo la schizofrenia rappresenta il disturbo mentale maggiormente associato a stereotipi, pregiudizi e discriminazione[1]. L’immagine pubblica del disturbo è, infatti, dominata dagli stereotipi della imprevedibilità e della pericolosità, immagine sostenuta dai mass media che tendono ad usare i termini ‘schizofrenia’/‘schizofrenico’ in maniera inappropriata, per indicare qualunque tipo di comportamento incoerente/contraddittorio/deviante o persona violenta/pericolosa/criminale[2,3]. Il rifiuto sociale e lo stigma pubblico nei confronti delle persone con schizofrenia è cresciuto costantemente nel corso degli ultimi 20 anni, più di quanto non sia avvenuto per altri disturbi mentali[4]. Lo stigma legato alla schizofrenia sembra avere quindi una connotazione ‘disturbo-specifica’, in quanto la sua accettazione sociale è di gran lunga peggiore rispetto a quella di altri disturbi mentali, quali ad esempio i disturbi d’ansia e depressivi [5,6].

Per questi motivi, in molte parti del mondo, le associazioni dei pazienti e dei familiari hanno cominciato a contestare l’utilizzo del termine ‘schizofrenia’, ritenendolo potenzialmente dannoso, in quanto gravato da una connotazione talmente negativa da ledere profondamente l’immagine pubblica delle persone che soffrono di questo disturbo [7]. Il termine ‘schizofrenia’ a causa della vergogna e della paura che evoca, costituisce – secondo molte associazioni degli utenti – un ostacolo alla ricerca di aiuto, una barriera alla recovery ed un impedimento a dare senso all’esperienza che la persona sta vivendo.

Anche dall’interno del mondo della psichiatria si sono levate numerose voci critiche rispetto al termine ‘schizofrenia’ [8, 9]. Secondo alcuni autori il termine ‘schizofrenia’ è fuorviante e discutibile sotto il profilo scientifico (l’etimologia della parola -‘schizein’ +‘fren’- non ha niente a che fare con quello che è in realtà il disturbo) [10]. Il termine ‘schizofrenia’, infatti, non fornisce alcuna informazione pregnante né rispetto alla natura fondamentale del disturbo e alle sua basi fisiopatologiche, né alla sua struttura psicopatologica di fondo [11, 12]. Il termine si è dimostrato di limitata utilità anche sul piano pragmatico, in quanto non fornisce indicazioni specifiche rispetto ai bisogni terapeutici, decorso ed esiti dei pazienti [13].

Da più parti si è cominciato quindi a chiedersi se non sia il caso di cambiare nome alla ‘schizofrenia’.

Emblematica al riguardo risulta l’esperienza giapponese. In Giappone la traduzione dal tedesco di ‘schizofrenia’ aveva una connotazione particolarmente negativa. Nel 1993 la principale associazione dei familiari dei pazienti psichiatrici (NFFMIJ) ha lanciato una petizione alla Società Giapponese di Psichiatria e Neurologia (JSPN) per cambiare la parola ‘schizofrenia’. Al termine di un laborioso processo che ha coinvolto medici, pazienti, familiari, politici, ricercatori e opinione pubblica, nell’agosto 2002, al Congresso WPA di Yokohama, la JSPN ha proposto di sostituire la parola ‘schizofrenia’ con ‘Sindrome da disregolazione dell’integrazione’ (Integration dysregulation syndrome). Nel 2005 il Ministero della Salute giapponese ha riconosciuto ufficialmente la nuova denominazione e l’equivalente della parola ‘schizofrenia’ è stata espunta dal lessico psichiatrico. Anche ad Hong Kong negli stessi anni è stato avviato un analogo processo, culminato nel 2001 con la proposta di sostituire il termine ‘schizofrenia’ con ‘Disregolazione del pensiero e della percezione’ (Dysregulation of thought and perception). Nel giro di qualche anno anche la Corea del Sud ha seguito l’esempio di Giappone ed Hong Kong e nel 2012, su proposta dell’Associazione dei Neuropsichiatri Coreani e della Società Coreana per la Ricerca sulla Schizofrenia, è stata ufficialmente approvata la nuova denominazione, ‘Disturbo della sintonizzazione’ (Attunement disorder), in luogo di ‘schizofrenia’ [14]. Nello stesso anno a Taiwan, al 51° Congresso della Società Taiwanese di Psichiatria, è stato proposto il termine ‘Disfunzione del pensiero e della percezione’ (Dysfunction of thought and perception) al posto di ‘schizofrenia’ [15].

Le evidenze tratte dagli ‘esperimenti sociali’ provenienti dai paesi asiatici in cui questo processo ha avuto luogo indicano che il cambiamento è possibile e che porta benefici non solo a pazienti e familiari, ma anche ai professionisti della salute mentale [16]. Le nuove denominazioni risultano, infatti, meno stigmatizzanti rispetto ai vecchi termini, contribuendo a produrre una riduzione di pregiudizi e discriminazione nei confronti dei pazienti [17,18,19,20]. Un altro degli effetti positivi del cambiamento è legato alla facilitazione della comunicazione diagnostica tra medico e paziente. Prima del cambiamento gli psichiatri giapponesi avevano l’abitudine di comunicare la diagnosi solo al 7% ai pazienti e al 37% dei familiari [21], mentre a seguito del cambiamento la diagnosi viene comunicata al 78% dei pazienti e praticamente a tutti i familiari[22]. Con il nuovo termine l’86% degli psichiatri ammette di trovare più facile la comunicazione diagnostica e fornire agli utenti informazioni sul disturbo e sui relativi trattamenti [22]. Interessante notare è che i benefici sulla riduzione dello stigma nei confronti della condizione cui il nuovo nome si riferisce tendono a perpetuarsi anche a lungo termine [23, 24].

Ci sono esempi importanti, sia in medicina che in psichiatria, di termini connotati in maniera negativa per i quali è stato operato un cambiamento di denominazione. Tra questi si ricorda, ad es., la lebbra rinominata ‘Morbo di Hansen’ (1952), il mongolismo rinominato ‘Sindrome di Down’ (1965), la Psicosi Maniaco-Depressiva ‘Disturbo Bipolare’ (1980), il ritardo mentale ‘Disabilità intellettiva’ (2014). Oggi giorno termini quali ‘mongoloide’, ‘maniaco’, ‘ritardato’ – usati comunemente nel corso dei decenni precedenti – sono stati cambiati con successo. Ciò probabilmente non ha determinato la completa rimozione dello stigma loro associato, ma ha senz’altro prodotto termini più accettabili. E certamente il ritorno all’uso dei termini precedenti, che appaiono oramai insultanti ed offensivi, non è più contemplato. Non potrebbe avvenire altrettanto con il termine ‘schizofrenia’?

Quello che va cambiata è la percezione pubblica di ciò che oggi definiamo ‘schizofrenia’. Cambiare semplicemente nome non risolverebbe il problema dello stigma, che origina da assunti di fondo (errati) sulla natura dei disturbi mentali.

Attenzione però. Cambiare nome ad un disturbo è un processo lungo e complesso, che necessita il coinvolgimento di tutti i potenziali attori in campo (pazienti, famiglie, operatori sanitari, ricercatori, opinione pubblica). Tale processo dovrebbe andare di pari passo con l’implementazione di campagne educative e anti-stigma. Quello che va cambiata è la percezione pubblica di ciò che oggi definiamo ‘schizofrenia’. Cambiare semplicemente nome non risolverebbe il problema dello stigma, che origina da assunti di fondo (errati) sulla natura dei disturbi mentali. Tuttavia, cambiare nome può rappresentare un ottimo primo passo.

Il termine greco λόγος (lògos) ha il duplice significato di ‘parola’, ‘discorso’ (che rimanda ai verbi ‘enunciare’, ‘denominare’) e allo stesso tempo di ‘pensiero’, ‘ragionamento’ (che rimanda al verbo ‘pensare’), ad indicare l’inscindibile legame tra il processo di denominare e l’atto del pensare (l’uno influenza l’altro e viceversa). Pertanto, cambiare un temine il cui significato si è andato pesantemente logorando nel corso di 100 anni di uso e misuso NON è semplicemente un’operazione semantica o di “correttezza politica”: il linguaggio che usiamo riflette ciò che pensiamo e come percepiamo una determinata condizione… e le persone che ne soffrono [25]. Le scelte linguistiche contribuiscono, insomma, a definire la nostra visione del mondo e sono quindi fondamentali per rappresentarlo e raccontarlo. Per questo dobbiamo usare con cautela ed attenzione le parole soprattutto quando rischiano di essere dannose.

Bibliografia

  1. Thornicroft G (2006). Shunned: Discrimination against People with Mental Illness. Oxford University Press.
  2. Clement S, Foster N. Newspaper reporting on schizophrenia: a content analysis of five national newspapers at two time points. Schizophr Res 2008;98(1-3):178-83.
  3. Magliano L, Fiorillo A, Malangone C, et al. Views of persons with schizophrenia on their own
    disorder: An Italian participatory study. Psychiatric Services 2008; 59, 795–799.
  4. Schomerus G, Schwahn C, Holzinger A, et al. Evolution of public attitudes about mental illness. A systematic review and meta-analysis. Acta Psychiatr Scand 2012; 125: 440–52.
  5. Angermeyer MC, Dietrich S. Public beliefs about and attitudes towards people with mental illness: a review of population studies. Acta Psychiatrica Scandinavica 2006; 113, 163-79.
  6. Angermeyer MC, Carta MG, Matschinger H. Cultural differences in stigma surrounding schizophrenia: comparison between Central Europe and North Africa. Br J Psychiatry. 2016 Apr;208(4):389-97. doi: 10.1192/bjp.bp.114.154260. Epub 2015 Nov 19.
  7. Hammersley P, McLaughlin T. Campaign for the Abolition of Schizophrenia Label. Asylum Magazine 2006 Link
  8. van Os J. ‘Schizophrenia’ does not exist. BMJ 2016; 352, i375.
  9. Murray RM. Mistakes I have made in my research career. Schizophrenia Bulletin 2017; 43, 253–256.
  10. Kingdon D, Taylor L, Kinoshita Y. Changing name: changing prospects for psychosis. Epidemiology and Psychiatric Sciences 2013; 22, 297-301.
  11. Maj M. Critique of the DSM-IV operational diagnostic criteria for schizophrenia. British Journal of Psychiatry 1998; 172, 458-460.
  12. Boyle M. Schizophrenia: A Scientific Delusion? Routledge 1990.
  13. van Os J. ‘Salience syndrome’ replaces ‘schizophrenia’ in DSM-V and ICD-11: psychiatry’s evidence-based entry into the 21st century? Acta Psychiatrica Scandinavica 2009; 120, 363-372.
  14. Lee YS, Park IH, Park SC, et al. ‘Johyeonbyung’ (attunement disorder): renaming mind splitting disorder as a way to reduce stigma of patients with schizophrenia in Korea. Asian Journal of Psychiatry 2014; 8, 118–120.
  15. Sartorius N, Chiu H, Heok KE, et al. Name change for schizophrenia. Schizophrenia Bulletin 2014; 40, 255–258.
  16. Lasalvia A, Penta E, Sartorius N, Henderson S. Should the label “schizophrenia” be abandoned? An invited commentary. Schizophrenia Research 2015; 162, 276-284.
  17. Takahashi H, Ideno T, Okubo S, et al. Impact of changing the Japanese term for “schizophrenia” for reasons of stereotypical beliefs of schizophrenia in Japanese youth. Schizophrenia Research 2009; 112,149-152.
  18. Omori A, Tateno A, Ideno T, et al. Influence of contact with schizophrenia on implicit attitudes towards schizophrenia patients held by clinical residents. BMC Psychiatry 2012; 12, 205.
  19. Kim SW, Jang JE, Kim JM et al. Comparison of Stigma according to the Term Used for Schizophrenia: Split-Mind Disorder vs. Attunement Disorder. Journal of Korean Neuropsychiatric Association 2012; 51, 210-217.
  20. Koike S, Yamaguchi S, Ojio Y, et al. Long-term effect of a name change for schizophrenia on reducing stigma. Social Psychiatry and Psychiatric Epidemiology 2015; 50, 1519–1526.
  21. Ono Y, Satsumi Y, Kim Y, et al. Schizophrenia: is it time to replace the term? Psychiatry and Clinical Neuroscience 1999; 53, 335-341.
  22. Aoki A, Aoki Y, Goulden R, et al. Change in newspaper coverage of schizophrenia in Japan over 20-year period. Schizophrenia Research 2016; 175, 193–197.
  23. Sato M. Renaming schizophrenia: A Japanese perspective. World Psychiatry 2006; 5, 53-55
  24. Koike S, Yamaguchi S, Ohta K, et al. Mental-health-related stigma among Japanese children and their parents and impact of renaming of schizophrenia. Psychiatry and Clinical Neurosciences 2017; 71, 170–109.
  25. Lasalvia A. Words matter: after more than a century ‘schizophrenia’ needs rebranding. BJ Psych Advances 2018; 24, 33-36.