A cura di Barbara D’Avanzo

Nella lettera uscita su Lancet Psychiatry nel gennaio 2024, Speyer e Roe (2024) offrono un’interpretazione aderente ai fatti e al tempo stesso fulminante dello studio RADAR (Moncrieff et al, 2023) che ha confrontato gli esiti di funzionamento sociale, identificato come indicatore di esito primario, e il rischio di ricaduta in un gruppo di persone con diagnosi di schizofrenia o altri disturbi psicotici di natura non affettiva in cura con antipsicotici e randomizzate alla terapia di mantenimento (127 persone) o ad un regime di riduzione della dose graduale e supportata (126 persone).

Le premesse di questo studio si trovano, tra gli altri, negli ormai celebri studi di Harrow e colleghi del 2012 e Wunderink e colleghi del 2013, che avevano mostrato esiti di migliore funzionamento nelle persone che seguivano un regime flessibile di utilizzo dell’antipsicotico. Tuttavia, il RADAR non ha mostrato un vantaggio nel funzionamento sociale del gruppo randomizzato al regime di riduzione rispetto a quello di mantenimento, e ha mostrato che il rischio di ricaduta a due anni era del 13% nel gruppo con terapia di mantenimento e del 25% nel gruppo con riduzione della dose. Concentrandosi sul dato relativo alle ricadute, Speyer e Roe da una parte affermano che il RADAR ha consolidato i risultati di altri studi sull’aumento del rischio di ricaduta col regime di riduzione di antipsicotico (tanto da pronunciarsi contro l’opportunità di intraprendere altri studi simili), dall’altra pongono questo risultato nella cornice degli ormai vecchi (ma non superati) principi della recovery: la possibilità di scelta informata e ragionata offerta all’utente sul proprio regime terapeutico è un aspetto essenziale della cura. Il RADAR mostra infatti, con un rischio del 25% di ricaduta versus quello non inesistente della terapia di mantenimento, che non è irragionevole offrire alle persone la possibilità del regime di riduzione del farmaco. Il RADAR suggerisce anche che il 25% di rischio di ricaduta potrebbe forse essere ridotto. Allora, le conseguenze importanti che discendono dal fallimento del RADAR sembrano essere due: la necessità di offrire alla persona che ha bisogno di una terapia antipsicotica una reale possibilità di scelta informandola in modo non sommario della possibilità di un regime terapeutico “flessibile” e dei relativi rischi (a patto, aggiungiamo noi, che vi sia la disponibilità dell’operatore di “aderire” a quella scelta accompagnando la persona nella navigazione di un rischio calcolato); la seconda è che è necessario dedicare risorse di ricerca non al se ridurre la dose di antipsicotico, ma al come ridurla. Un ribaltamento logico ed epistemologico di una mentalità che spesso vede il risultato di un clinical trial – positivo o negativo che sia – come una risposta assoluta al quesito che si poneva: risposta assoluta che mina non solo la libertà di scelta della persona, ma anche il cammino della ricerca. È forse proprio questa la lezione più importante.

Speyer H, Roe D. Implications of the RADAR trial: the dignity of risk taking. Lancet Psychiatry 2024; 11:10.
https://www.thelancet.com/action/showPdf?pii=S2215-0366%2823%2900368-1

Moncrieff J, Crellin N, Stansfeld J, et al. Antipsychotic dose reduction and discontinuation versus maintenance treatment in people with schizophrenia and other recurrent psychotic disorders in England (the RADAR trial): an open, parallel-group, randomised controlled trial. Lancet Psychiatry 2023; 10: 848–59.
https://www.thelancet.com/pdfs/journals/lanpsy/PIIS2215-0366(23)00258-4.pdf