di Gilberto Di Petta

La psichiatria, data la sua mancanza di indagini di laboratorio e strumentali dirimenti, avrebbe dovuto essere la branca più clinica della medicina. Essa sta, invece, perdendo drammaticamente proprio la sua dimensione clinica.

La clinica richiede tempo e riflessione, observatio et ratio. Un tempo che lo psichiatra contemporaneo sembra non avere più.

Con la scomparsa della dimensione clinica, scompare anche il pensiero critico che fonda e che consegue alla clinica. È in questo modo che in due secoli e mezzo si è lumeggiata una ratio nell’ambito di quei disturbi psichici e comportamentali genericamente ascritti alla follia, e sottratti al linciaggio dell’ordalia. Mi pare che nel cuore della psichiatria si siano aperte delle falle che tendono a lacerarla, e nessuna delle placche che si stacca è versata alla clinica. Una frattura scomposta si è aperta lentamente nel corpo della psichiatria fino a squarciarla, e a farne un organismo disfunzionale. Fino al punto da far apparire, nello stato dei fatti, tre psichiatrie totalmente differenti, come se esse non avessero più nulla in comune.

Si tratta di tre psichiatrie che strutturano tre mondi e tre modi di incarnarli diametralmente diversi.
Essi sono così configurabili:

  1. il mondo della psichiatria molecolare;
  2. il mondo della psichiatria manageriale;
  3. il mondo della psichiatria quotidiana.

Il primo mondo, quello più ufficiale, è il mondo della psichiatria molecolare.

Esso è costituito e trasmesso essenzialmente dalle Cliniche universitarie. È, oggi, la ragion d’essere della psichiatria medica. Questo mondo molecolare è un’evoluzione della cosiddetta psichiatria organicista dell’Ottocento, o della psichiatria positivista. Alla sua base c’è la convinzione griesingeriana che le malattie mentali siano tout court malattie del cervello, con eziopatogenesi e terapia biologiche.

Questa psichiatria confonde brutalmente la psicopatologia e la clinica con la nosografia. Le diagnosi vengono considerate entità naturali in maniera rozzamente ed ingenuamente fantascientifica. La locuzione più utilizzata nei sacri paper sulle riviste impattate ed indicizzate di questa psichiatria è this suggests.

Ovvero, dopo tutta una elencazione di materiali, di metodi, di molecole, di esperimenti, di citazioni, lo psichiatra clinico, che rimarrebbe il destinatario del messaggio, rimane perplesso. Pensa a qualcuno dei pazienti che ha lasciato a casa e scopre che sul suo caso tutti questi ricercatori non gli hanno detto nulla di nuovo.

Di fatto la ricaduta della psichiatria molecolare è quella di una psichiatria suggestiva, ovvero una psichiatria di suggestione. In questo momento, tuttavia, questa è la psichiatria mainstream, connessa con la psichiatria accademica di tutto il mondo, che promette dal 1845, ovvero da Griesinger, di riscrivere la storia delle malattie mentali.

Di fatto questa psichiatria ha alimentato la riscrittura di una decina di versioni del DSM, dimostrando uno sforzo di concordanza sulle definizioni, ma attribuendole spesso a contenuti altri.

Se, per ipotesi, improvvisamente sparissero tutte le Cliniche universitarie, l’operatività dello psichiatra di trincea, impegnato nei Servizi, non ne risentirebbe effetto alcuno.

Dunque, allo stato, questa psichiatria rappresenta una gloriosa inutilità ed un immenso spreco di risorse, a parte il rilascio della patente psichiatrica agli specializzandi (che poi dovranno re-imparare da soli il mestiere).

A questa psichiatria spocchiosa dobbiamo, tuttavia, almeno in parte, la rivoluzione di Franco Basaglia. Da uomo dotato di grandi prospettive, Basaglia provò grande rabbia nel vedere quanto l’assetto accademico fosse chiuso ad ogni tentativo di innovazione e di penetrazione. Per lui, come per Freud, grandi esclusi dall’Accademia autoreferenziale, vale il detto: “Flectere si nequeo Superos, Acheronta movebo.”

C’è una poi una psichiatria manageriale, esercitata soprattutto fuori dalle università, in genere dai Direttori dei DSM e dai direttori di UOSM; è, questa, una psichiatria delle organizzazioni e di comunità.

Anche a questo livello la clinica piuttosto scompare. Il paziente non conta più come caso clinico singolo. Scompaiono la clinica, l’urgenza, la cura, il silenzio, il rischio, la prescrizione del farmaco. È una psichiatria di riunioni, di dati, di box virtuali, di processi, di procedure, di protocolli, di budget. Dal suo vertice i pazienti sfumano in utenti o clienti indistinti, massa critica, tutti uguali. Tutti psicotici, come la notte di Hegel, in cui tutte le vacche sono nere.

È una psichiatria di collocamento, più che di collegamento, che distribuisce prebende, emolumenti, convenzioni, accreditamenti, che costruisce carrozzoni, residenze, che mercanteggia con il privato convenzionato. Essa occhieggia alle direzioni generali delle ASL. I suoi sacerdoti, come accennavo, sono i Direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale.

La loro mission è aziendalizzata, debbono far quadrare i conti a seconda delle politiche e degli orientamenti vigenti. Sono dei burocrati. Condividono poco la giornata dell’operatore. Dànno molte cose per scontate. Quando si parla con loro si sente che, pur col sorriso sulle labbra, pur considerandosi territoriali e democratici, essi fanno parte integralmente dell’establishment.

Con la fusione delle ASL in macroaree i Direttori dei DSM si sentono dei piccoli imperatori. Il dominio del loro regno copre mari, monti e città. Il Direttore del manicomio aveva una sfera di influenza su circa 5-10-15000 persone, tra ricoverati e operatori. La sua sfera di influenza rimaneva confinata dentro la cinta muraria. Alcuni direttori di DSM hanno una sfera di influenza potenziale su 1 o 2 o 3 milioni di persone. Essi hanno un ottimo alibi da contrapporre alla critica sulle disfunzioni del sistema, che è l’estensione del campo territoriale e l’impossibilità del suo governo.

Il verbo di questa psichiatria è gestire. È, questa, una psichiatria, oltre che di collocamento, gestionale. Che, storicamente, è succeduta alla psichiatria custodialistica. Questi 40 anni potremmo intitolarli: dalla reclusione manicomiale alla gestione territoriale.

C’è, da ultimo, uno psichiatra quotidiano, cioè di tutti i giorni, banale, di territorio, di centro diurno, di comunità, di SPDC.

Egli è il destino amaro che attende l’entusiasta e ignaro specializzando. La carne da cannone. Una psichiatria quotidiana che attualmente non si sente rappresentata né in sede universitaria, né di congressi, né di management aziendale, dove la parola clinica compare solo accanto a governance, ma vuol dire qualche altra cosa. Una psichiatria tradita dagli stessi psichiatri. Tradita tutti i giorni, perché negata come problema, dai molecolari e dai manager.

Una psichiatria di cui nessuno parla. Lo psichiatra quotidiano, che tutti invocano e deprecano, come il pane quotidiano nella preghiera del Pater Noster, è quello più numeroso, che si carica di responsabilità enormi, i cui pazienti sono di carne ed ossa, e non di carta, numeri epidemiologici o portatori di molecoline endocraniche. I pazienti di questo psichiatra sventurato, in genere, in quanto puzzano di umano, della peggiore umanità, si suicidano, uccidono, si perdono, si drogano, si scompensano o, semplicemente, si trascinano giorno dopo giorno nella non vita che la cronicità della malattia gli riserva.

Lo psichiatra dei Servizi ha in carico di centinaia di persone di cui risponde personalmente. È stressato dai turni, è affetto da stanchezza cronica, quando non da burn out (sindrome sconosciuta ai molecolari e ai manager). È oppresso dall’idea della denuncia, ha sul collo la responsabilità ogni giorno di quello che fa e di quello che non fa, di quello che scrive e di quello che non scrive, di quello che dice e di quello che non dice. Vessato, in un mondo che celebra le magnifiche sorti e progressive, egli è rimasto a fronteggiare tossici, dementi, homeless, ragazzini dirompenti, criminali antisociali e psicopatici con la patente di pazzi. Tutte le riforme che si succedono imprimono un marchio indelebile sulla sua pelle. Egli è il terminale di tutto.

Sindaci, carabinieri, vigili, 118, Pronto soccorso, cittadini qualunque: tutti hanno lui sulla bocca. Per questo egli teme ogni riforma, perché pensa che si traduca nell’ennesimo carico di lavoro per lui. La sua principale aspirazione è andare in pensione prima possibile. Se ha possibilità va via dal pubblico. Con gli anestesisti e i chirurghi, gli psichiatri quotidiani rappresentano il numero critico dei medici che lasciano il pubblico per il privato.

È chiaro che così configurata, ovvero senza più il paradigma costitutivo della clinica, la psichiatria contemporanea è esposta ad una deriva senza limiti, trascinata da correnti politiche o economiche che non partono dalla centralità del paziente e del suo modo di essere nel mondo, ovvero dai suoi sintomi.

Il processo di declinicizzazione della psichiatria è stato paradossalmente sostenuto dal riduzionismo del modello biologico, impostosi in questi anni, poiché il livello enfatizzato da questo modello è subfenomenico, spesso ipotetico e non correlabile direttamente con le manifestazioni cliniche del paziente.

L’aspetto organizzativo-gestionale è per definizione lontano dalla clinica e le operazioni che assorbono lo psichiatra dei Servizi sono polarizzate anch’esse sulla risoluzione di emergenze e sulla stabilizzazione di comportamenti a prescindere dalla ratio psicopatologico-clinica del paziente.

Senza il supporto di dati di laboratorio o strumentali, che suppliscono la carenza o la superficialità della clinica nelle altre branche della medicina, il mondo del paziente e la sua soggettività in psichiatria diventano evanescenti, introiettati, asfaltati dalle chemioterapie, disseminati in migliaia di esili dorati, dove le giornate si susseguono dall’alba al tramonto, senza programmi finalizzati a rinvenire e a restituire ai pazienti il loro progetto di mondo, congelandoli nella cronicità di esistenze mancate. Una profonda riflessione epistemologica sulle radici cliniche della nostra disciplina credo sia indispensabile per il nostro futuro.

Vedi anche: Gilberto Di Petta, Mentre la psichiatria si estingue la clinica rivive nel racconto…