Un’esperienza di valutazione condivisa tra professionisti, familiari e utenti, in Emilia Romagna.

Antonella Piazza e Giuseppe Tibaldi, per conto del Gruppo di lavoro della Regione Emilia-Romagna1

In Emilia-Romagna, nell’ambito di un audit regionale sull’appropriatezza dei trattamenti per gli utenti con disturbo schizofrenico, è stata realizzata un’indagine sull’utilizzo dei farmaci antipsicotici nei Centri di Salute Mentale (CSM). L’estensione regionale dell’audit e la partecipazione al gruppo di lavoro non solo di professionisti, ma soprattutto di utenti e familiari, costituiscono gli aspetti più innovativi del progetto, che consente di condividere obiettivi, metodologia, analisi dei dati e valutazioni tra tutte le figure coinvolte nel processo di cura. Un primo resoconto di questa esperienza, a cui SIEP ha fornito la propria collaborazione metodologica, è stato pubblicato sulla rivista Sestante2.

Premesse
Negli ultimi dieci anni si sono moltiplicate le sollecitazioni ad un ripensamento delle modalità di utilizzo degli antipsicotici [1], alla luce di studi scientifici che hanno evidenziato esiti preoccupanti, quali:

  1. il deterioramento cognitivo riconducibile ad un uso protratto, a dosi elevate, degli antipsicotici [2];
  2. le nette differenze, sul piano della guarigione funzionale, a favore di coloro che riducono o sospendono gli antipsicotici, rispetto a quanti li continuano a dosi costanti ed a tempo indeterminato [3,4];
  3. l’aumento della mortalità, per patologie prevalentemente cardio-metaboliche, delle persone con disturbi mentali gravi [5,6,7,8].

La Consulta Salute Mentale della Regione Emilia-Romagna ha fatto proprie queste preoccupazioni e, nel 2016, ha promosso un progetto di audit sull’impiego di antipsicotici (AP) per i pazienti con disturbi schizofrenici.

Metodologia
La fase preliminare dell’audit ha preso il via nel Dicembre 2016, con due Focus Groups regionali che hanno messo a confronto i punti di vista dei professionisti con le esigenze espresse dalle associazioni di utenti e familiari, condividendo esperienze, evidenze e raccomandazioni sull’utilizzo dei farmaci antipsicotici, oltre che sulle modalità della presa in cura. Nella discussione è stata posta in primo piano la necessità di basare sempre di più i trattamenti su progetti personalizzati, orientati all’inclusione sociale e condivisi con gli utenti e le loro famiglie, in cui la terapia farmacologica diventi una delle componenti del processo di cura, non necessariamente prioritaria ma integrata con le altre, funzionale al raggiungimento degli obiettivi stabiliti e continuamente soggetta a una valutazione compartecipata di efficacia, sicurezza e utilità. A seguito dell’analisi svolta nei Focus Groups si sono definiti criteri, indicatori e standard di appropriatezza per la fase operativa dell’audit, che ha preso il via nel Giugno 2017 con una rilevazione finalizzata a fotografare punti di forza e di debolezza dei trattamenti.

L’indagine ha combinato due tipi di informazione:

  1. i dati sociodemografico-clinici e di trattamento non farmacologico, forniti dai flussi informativi regionali SISM e SDO del 2016;
  2. i dati sulle terapie farmacologiche (principi attivi e dosaggi di antipsicotici, altri psicofarmaci associati, reazioni avverse e terapie per queste, tipologia e frequenza dei contatti con i medici di medicina generale, adesione dei diretti interessati, previsione su riduzioni o sospensioni nell’anno successivo, etc), ottenuti tramite un questionario elaborato dal gruppo di lavoro.

Dal SISM regionale del 2016 sono stati selezionati i codici identificativi dei casi maggiorenni con cartella aperta presso i CSM al 31.12.2016 e diagnosi principale di disturbo schizofrenico. Da questa coorte (n=10.402), con il metodo di campionamento casuale semplice senza ripetizione, sono stati estratti 597 codici di utenti (6,3%), per i quali è stata richiesta ai CSM la compilazione del questionario sui farmaci prescritti in una data-indice nell’Ottobre 2017.

Principali risultati
Sono stati restituiti dai CSM 554 questionari (92,8%). Il campione risulta costituito da persone prevalentemente di sesso maschile (54%), di età matura (51% nella fascia 45-64 anni), mai coniugate (63%), con scolarità non superiore alla scuola dell’obbligo (60%) e non occupate al lavoro (66%). La grande maggioranza (81%) ha una lunga storia psichiatrica, essendo in contatto continuativo con il CSM da più di 10 anni.
Nel 2016 gli utenti campionati hanno ricevuto 46.055 prestazioni, con una mediana di 27 prestazioni a testa. L’83% dei casi ha ricevuto più di 10 prestazioni nel corso dell’anno. Tra le prestazioni più frequenti vi sono i colloqui individuali (17,3%), le erogazioni o somministrazioni farmaci (36,6%) e le prestazioni di tipo socio-riabilitativo (28,9%). Il 22% delle prestazioni è stato svolto a domicilio o in ambiente esterno, il 72% invece in strutture territoriali (CSM, Centri diurni). Le persone con trattamenti residenziali sono state 66, mentre i ricoverati 58, di cui 15 con TSO. Emerge da questi dati prestazionali una consistente presa in cura territoriale, che si è dimostrata in grado di contenere il ricorso ai ricoveri ospedalieri e ancor più ai trattamenti sanitari obbligatori per una popolazione di lungo-assistiti portatori di una diagnosi severa.
Per quanto riguarda la valutazione di appropriatezza dei trattamenti farmacologici, la valorizzazione degli indicatori ha permesso di evidenziare alcuni scostamenti rispetto agli standard prefissati, individuando le seguenti criticità:

  1. Prescrizioni di antipsicotici. Oltre alle troppo frequenti associazioni (il 29% di casi riceve più di un antipsicotico, con un 17% di prescrizioni che associano composti di prima e seconda generazione), l’aspetto più critico è costituito dalla durata della terapia, che nel 35% dei casi risulta invariata da più di 3 anni, senza alcuna modifica dei principi attivi o dei dosaggi. Anche se ciò può trovare una parziale spiegazione nella gravità e complessità di queste patologie di lunga durata, una percentuale così elevata fa ipotizzare che gli psichiatri siano ancora troppo inclini a mantenere immodificate a lungo termine le prescrizioni, con scarsa propensione verso la costruzione di strategie di riduzione o sospensione farmacologica, come sembra trasparire anche dalle previsioni dei clinici per l’anno successivo.
  2. Monitoraggio attivo degli effetti collaterali e delle condizioni di salute fisica. Benché tutti i servizi risultino mettere grande attenzione al controllo di possibili reazioni avverse suscettibili di gravi conseguenze in acuto (es., controlli seriali dei valori di globuli bianchi in caso di terapie con clozapina, o ECG in caso di terapie con aloperidolo), è soprattutto la diffusione di schemi di monitoraggio delle condizioni di rischio metaboliche a non risultare sufficientemente consolidata.
  3. Integrazione con prestazioni e trattamenti non farmacologici. In questo ambito sembra soprattutto carente il coinvolgimento dei familiari (il 48% di casi non ha interventi rivolti alle famiglie nel corso di un intero anno). Azioni migliorative appaiono necessarie, anche considerando che circa il 74% del campione convive con qualche parente. La quota di utenti che nel corso dell’anno 2016 ha partecipato a progetti riabilitativi strutturati o a percorsi di recovery (44%) è risultata anch’essa da incrementare.

Conclusioni
Il processo di condivisione tra professionisti, familiari e utenti si è sviluppato positivamente, a partire dalla consistente letteratura scientifica che invita ad un riesame del rapporto tra benefici e rischi degli antipsicotici, soprattutto in caso di trattamenti a tempo indeterminato [9]. Il principio “Less is more”[10], dove “less” significa dosi basse e durata limitata, e “more” allude ai vantaggi clinico-funzionali a lungo termine, rende la condivisione una dimensione essenziale del percorso, dalla comprensione di quello che è successo alle priorità da rispettare, con le decisioni che ne derivano su scelte complesse, come i ricoveri, le opzioni residenziali e le strategie necessarie per ridurre e sospendere i farmaci.

In tale prospettiva, e sulla base delle criticità emerse, sono state individuate alcune iniziative di miglioramento, concordate con le associazioni di familiari e utenti oltre che con i Dipartimenti di Salute Mentale della Regione Emilia-Romagna:

  1. Adozione sistematica di procedure di monitoraggio e di intervento per le condizioni di rischio cardio-metabolico, agendo a livello formativo-organizzativo nei CSM e nei servizi delle cure primarie, a livello del sistema informativo regionale per garantire un adeguato feedback, e a livello economico per ridurre i costi a carico degli utenti.
  2. Formazione diffusa dei professionisti sulle strategie di riduzione concordata della posologia (potenzialmente rese più facili da adottare dalla Legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento).
  3. Potenziamento dell’offerta di interventi non farmacologici di provata efficacia, che consentano una più costante proposta di trattamenti integrati, soprattutto in fase di riduzione della terapia farmacologica (come già previsto nei Programmi Esordi).

Bibliografia

  1. Tyrer P. The end of the psychopharmacological revolution. British Journal of Psychiatry 2012, 201:168.  DOI: 10.1192/bjp.201.2.168
  2. Ho BC, Andreasen N, Ziebell S, Pierson M, Magnotta V. Long-term antipsychotic treatment and brain volumes. Archives General Psychiatry 2011; 68(2): 128-137. doi:10.1001/archgenpsychiatry.2010.199
  3. Wunderink L, Roeline M, Wiersma D, Sytema S, Nienhuis FJ. Recovery in remitted first-episode psychosis at 7 years of follow-up of an early dose reduction/ discontinuation or maintenance treatment strategy long-term follow-up of a 2-years randomized clinical trial. JAMA Psychiatry 2013; doi:10.1001/jamapsychiatry.2013.19
  4. Harrow M, Jobe TH, Faull RN. Do all schizophrenia patients need antipsychotic treatment continuously throughout their lifetime? A 20-year longitudinal study. Psychological Medicine 2012, 42: 2145–2155. DOI:10.1017/S0033291712000220
  5. Brown S, Kim M, Mitchell C, Inskip H. Twenty-five year mortality of a community cohort with schizophrenia. British Journal Psychiatry 2010; 196(2): 116-21. doi: 10.1192/bjp.bp.109.067512.
  6. Thornicroft G. Physical health disparities and mental illness: the scandal of premature mortality. The British Journal of Psychiatry 2011; 199: 441-442. doi: 10.1192/bjp.bp 111.092718.
  7. Hoang U, Stewart R, Goldacre MJ. Mortality after hospital discharge for people with schizophrenia or bipolar disorder: retrospective study of linked English hospital episode statistics, 1999-2006. British Medical Journal 2011; 13: 343:d5422. Doi: 10.1136/bmj.d5422
  8. Wahlbeck K, Westman J, Nordentoft M, Gissler M, Munk Laursen T. Outcomes of Nordic mental health systems: life expectancy of patients with mental disorders. British Journal of Psychiatry 2011; 199: 453-458. DOI: 10.1192/bjp.bp.110.085100.
  9. Tibaldi G. Il gioco vale la candela? Riconsiderare l’uso degli antipsicotici alla luce delle evidenze sugli esiti derivanti dal loro utilizzo a lungo termine. Rivista Sperimentale di Freniatria 2016; 115: 43-63
  10. McGorry P, Alvarez-Jimenez M, Killackey E. Antipsychotic medication during the critical period following remission from first-episode psychosis. Less is more. JAMA Psychiatry 2013; doi: 10.1001/jamapsychiatry.2013.264.

1Clotilde Arcaleni, Nevio Chiarini, Massimo Costa, Maria Geltrude D’Aloya, Beppe Donna, Walter Galavotti, Alessandra Gualandi, Marco Menchetti, Franco Morbidelli,Enzo Morgagni, Pietro Pellegrini, Giovanni Romagnani, Emanuela Rossi, Matteo Serroni, Pietro Spada, Silverio Sturaro, Bruna Tenenti, Grazia Tondelli.

2 Piazza A, et al. L’impiego dei farmaci antipsicotici nei Centri di Salute Mentale. Una valutazione condivisa tra professionisti, utenti e familiari – Link. Sestante 2018; 3: 28-31