In Dallo Psicanalismo allo psicoterapismo. Per una politica della clinica e una psicoterapia critica (Radio32 Edizioni, 2022) Matteo Bessone, Marco Sassoon e Martino Lioy, in modo conciso e denso, declinano la critica che Castel fa della psicanalisi sulle forme attuali di lettura psicologica del disagio e di intervento su di esso. Castel, nel clima culturale e specificamente francese in cui la psicanalisi si affermava, smascherava la natura storicamente determinata della psicanalisi (nonostante il cuore rivoluzionario dell’idea di inconscio), e il suo essere funzionale al mantenimento di quegli stessi fenomeni sociali, che, dati per universali, erano all’origine della sofferenza (si pensi alla posizione della donna nella società e nelle relazioni personali). La psicanalisi, praticata nello spazio angusto della relazione tra due individui, cliente e psicanalista, necessita della creazione di un vuoto sociale ed esistenziale per far emergere le strutture intrapsichiche della sofferenza (pag. 26). Gli autori mostrano come questo stesso vuoto venga teorizzato e creato nel setting della psicoterapia anche ai giorni nostri (facendo tuttavia, a mio parere, di tutta l’erba un fascio, e non menzionando affatto gli interventi psicologici immersi nella durezza di contesti sociali problematici, come i servizi per la tutela dei minori, l’area delle tossicodipendenze, ma non solo). L’aspetto di sospensione del malessere dal contesto e dai fattori causali in cui si origina e la negazione dell’origine sociale della sofferenza si accompagnano alla creazione di modelli interpretativi e di intervento che si sono plasmati, testati e verificati in gruppi di popolazione privilegiati, la cui sofferenza ha un nesso assai più debole o indiretto con i fattori sociali, diventando quindi strumenti di cura adatti a questi stessi gruppi sociali, ma non alle fasce di popolazione più colpite da punto di vista sociale e che più necessitano di interventi di supporto e di costruzione di resilienza personale, ma anche di critica delle condizioni sociali in cui si struttura il loro malessere. In questa prospettiva, psicanalismo e psicoterapismo non significano le applicazioni generalizzate e banalizzate delle categorie della psicanalisi e delle altre varie scuole di psicoterapia ai casi e ai temi della sofferenza umana, quanto piuttosto la mistificazione della loro natura storica e degli effetti di tale mistificazione-negazione, del loro essere funzionale ad alcuni gruppi sociali e al mantenimento del malessere in altri. Lo psicoterapismo è, in estrema sintesi, ciò che la psicoterapia stessa nega, è il suo inconscio sociale, la psicoterapia priva della lettura del contesto in cui opera e di cui si alimenta. Castel aveva parlato di psicanalismo come dell’”ombra gettata dalla psicanalisi, ciò che essa oscura, che rimane ad essa opaca, sia all’esterno che all’interno del suo campo”.

Psicanalismo e psicoterapismo non significano quindi la corruzione di psicanalisi e psicoterapia, bensì gli effetti di ciò che l’incapacità di leggerle come immerse nella storia, nella società e nei rapporti di potere, ne fa – quasi delle ideologie che si autoalimentano e non si confrontano con il terreno da cui provengono e da cui proviene l’oggetto di cui si occupano.

Gli autori osservano negli psicoterapeuti dei giorni nostri:

  • disinteresse per ciò che viene definito l’extraclinico;
  • interesse economico a mantenere la psicoterapia in una relazione diadica e privata e collocata nel libero mercato;
  • inconsapevolezza della psicoterapia come dispositivo storicamente determinato e funzionale ai rapporti di potere dominanti;
  • inconsapevolezza del rischio di produrre ulteriore sofferenza sottacendo le dinamiche sociali entro cui la sofferenza si produce;
  • incapacità di riconoscere che le tecniche psicoterapiche si producono e confermano all’interno di gruppi socialmente determinati e circoscritti e che ciò
    • a. impedisce di sviluppare tecniche adatte a gruppi sociali che vivono in condizioni diverse e hanno bisogni diversi,
    • b. produce l’esclusione dalle cure di quei gruppi, che avrebbero più bisogno di attenzione in quanto portatori di maggiori sofferenze, come dimostrato dall’area di ricerca che gli autori chiamano dell’epidemiologia sociale (un autore per tutti, Sir Michael Marmot).

Alla luce di queste considerazioni possono venire letti gli interventi frettolosi e compiacenti quali il bonus psicologo – sicuramente più semplice di altri, quali l’inserimento delle psicoterapie nel Servizio Sanitario Nazionale – che assume la natura diadica e privata della psicoterapia (in cui il contratto tra psicoterapeuta e cliente è solo apparentemente libero e paritario), come definitiva e immutabile, inscritta nella natura stessa della psicoterapia, in cui trova conferma la separazione tra disagio sociale e sofferenza mentale. Ma c’è di più: l’enfasi sull’utilità del rapporto individuale rischia di indebolire la consapevolezza delle cause della sofferenza e di sottrarre risorse per azioni collettive di natura preventiva del disagio mentale e sociale (pag. 73).

Quali spazi di redenzione ha la psicoterapia? Quale forma organizzativa, e portatrice di significato clinico ed epistemologico, si sarebbe potuto dare alla desiderata estensione della platea di chi può usufruire delle cure psicologiche che ha preso forma nel bonus psicologo? Gli autori fanno ampio uso del termine consapevolezza: la consapevolezza dello psicoterapeuta è atto iniziale di onestà e di scoperta di ciò che effettivamente la psicoterapia è e produce, ma anche motore di un cambiamento dentro al dispositivo clinico, che gli autori tuttavia indicano, ma il cui approfondimento sembrano rimandare ad altre sedi. La consapevolezza produce politicizzazione dello spazio clinico e condivisione della sofferenza. Essa può esprimersi in un cambiamento di postura dello psicoterapeuta stesso rispetto al cliente, nel riconoscimento del differenziale di potere, di strumenti ed economico, tra i due soggetti, nel favorire nel cliente la coscienza delle condizioni materiali entro cui la sofferenza si produce, rendendolo anche critico rispetto ad esse, e superando l’effetto iatrogeno, tossico vorremmo dire, del lasciare implicito tutto questo.
Questo non solo renderebbe la psicoterapia accessibile ad un maggior numero di persone, ma rappresenterebbe anche una forma diversa di accogliere, esprimere, concepire ed elaborare la sofferenza umana. Questa operazione ha il potenziale (e di nuovo gli autori adombrano un concetto fondamentale, ma sembrano rimandare ad altre occasioni) di modificare il dispositivo, le tecniche stesse di intervento. Gli autori pensano alla dimensione del gruppo non solo come ad uno specchio in cui il soggetto si comprende attraverso l’altro, ma la strutturazione di un corpo sociale che al suo interno si critica e si rinnova, in cui si supera l’isolamento e si costruiscono solidarietà e capitale sociale (pag. 60). Non tanto quindi un gruppo di auto-mutuo aiuto, quanto un contesto in cui si modifica la relazione con il dispositivo stesso e con lo psicoterapeuta, fino, sembra, a destrutturare i ruoli di cliente e psicoterapeuta (pag. 68). Si aprirebbe così la possibilità di un dialogo profondo con l’umanità presente in ciascuno di noi – l’unico terreno possibile di accoglienza e di attribuzione di significato della sofferenza e di prefigurazione di una realtà più giusta e a misura d’uomo (pag. 69).

Per approfondimenti:

  • Bessone M (2020), “Psicoterapia Sociale e Capacitazione. Il problema dell’accesso alla psicoterapia e ai servizi di salute mentale: dati e riflessioni“. In D’Elia L, La funzione sociale dello psicoterapaeuta, Alpesitalia, Roma
  • Castel R (2005), “Michel Foucault e le critiche della psichiatria: una lettura soggettiva”. In Rivista sperimentale di Freniatria, 129( 3), 10.
  • Macintyre A, Ferris D, Gonçalves B, Quinn N (2018), “What has economics got to do with it? &e impact of socioeconomic factors on mental health and the case for collective action”. In Palgrave Communications, 4(1), 1-5.
  • RSS, Rete Sostenibilità e Salute, Appello per una scienza al servizio della Comunità, 2019.
  • Solomonov N, Barber JP (2019), “Conducting psychotherapy in the Trump era: therapists’ perspectives on political self(disclosure, the therapeutic alliance, and politics in the therapy room”. In Journal of clinical psychology, 75(9), 1508-1518.

È possibile scaricare il libro: Dallo Psicanalismo allo psicoterapismo. Per una politica della clinica e una psicoterapia critica