Il coordinamento nazionale della Conferenza Salute Mentale, cui SIEP partecipa, ha inviato una lettera al Ministro della Salute Roberto Speranza chiedendo un provvedimento specifico per la salute mentale e per tutte le situazioni di fragilità sanitaria e sociale, che abbia validità vincolante per tutte le Regioni e che superi le gravi limitazioni della libertà che perdurano a carico dei sofferenti psichici. Nella lettera si propongono anche soluzioni concrete, basate su alcune buone pratiche.

Gentile Ministro,

il nostro Coordinamento aveva già portato all’attenzione dell’opinione pubblica e di questo Ministero, quanto duro e difficile sia stato l’isolamento forzato, e la privazione di libero movimento e incontro con i propri cari, per le persone che vivono la sofferenza mentale (e per tutte le persone rese fragili da patologie diverse e condizioni sociali difficili) in luoghi altri dalla propria abitazione (RSA, Comunità Integrate, Case Famiglia, Comunità Terapeutiche, e qualunque altra tipologia di struttura residenziale che accolga adulti e minori in difficoltà).

La “fase 2” dell’emergenza Covid-19, mentre ha consentito il libero movimento alla generalità delle persone nelle e tra le regioni, la ripresa dell’attività produttiva e di buona parte delle attività sanitarie, l’apertura degli esercizi pubblici (inclusi bar e ristoranti), pur con le misure precauzionali per contrastare la diffusione del virus, non ha previsto disposizioni chiare e univoche per l’intero territorio nazionale per i cittadini che stanno nelle strutture.

Questo ha determinato una grave e inaccettabile discriminazione con ampio arbitrio da parte delle Regioni che hanno demandato alle Direzioni delle strutture la regolamentazione dell’accesso di parenti e visitatori, così come il movimento delle persone dentro e fuori dalle strutture.

Dopo 4 mesi in cui non hanno potuto far visita ai loro cari, da giugno, a seguito delle disposizioni regionali, i familiari non hanno più libero accesso né possono uscire con i loro cari per una passeggiata o un pranzo in ristorante o nella casa di famiglia. Così come non hanno più alcuna possibilità di vigilare e verificare le loro condizioni di vita all’interno delle stesse strutture. Vigilanza più che mai necessaria e raccomandata dalla Convenzione Onu sui Diritti delle persone con disabilità.

Gli stessi provvedimenti regionali, per quanto riguarda la vita delle persone nelle strutture residenziali, affrontano la “fase 2” dell’emergenza senza alcuna significativa differenza con la “fase 1”.

La cosa che più ci lascia sconcertati è l’atteggiamento di trattare il mondo delle persone con disturbi mentali separato dal mondo delle persone che disturbi mentali non hanno, fatto in sé non accettabile perché con la legge 180 si è messo fine ad uno statuto speciale per il malato di mente. Noi riteniamo che tutti i servizi di salute mentale, in tutte le loro articolazioni e comprese le strutture residenziali, debbano superare definitivamente il lockdown “liberando” le persone da una diversità insopportabile. Naturalmente adottando tutte le prescrizioni preventive prescritte: dall’uso della mascherina al lavaggio frequente delle mani al distanziamento interpersonale.

Noi riteniamo che il Governo e il Ministero della Salute, debbano intervenire con tempestività e urgenza supportati dal Comitato Tecnico Scientifico affinché queste gravi discriminazioni e atti lesivi della libertà e dignità della persona umana in condizione di fragilità e sofferenza vengano a cessare con immediatezza.

Altre modalità sono praticabili, fondate sul principio della prevenzione partecipata e condivisa. L’applicazione delle prescrizioni preventive dettate dalla necessità di contenere la diffusione della pandemia ed evitare i rischi di una sua recrudescenza può divenire un’importante occasione di promozione della salute e di protagonismo degli utenti, senza compromettere le attività di riabilitazione, socializzazione ed inclusione. La condizione perché ciò possa realizzarsi presso le strutture residenziali ma anche nei centri diurni, laboratori, gruppi AMA, associazioni, è la ridefinizione delle equipe e dei gruppi di lavoro secondo il modello delle microcomunità. Si tratta di nuclei stabili di utenti e operatori che condividono per un tempo sufficientemente lungo (almeno 1 mese) progetti ed attività terapeutico-riabilitative nonché conoscenze e valutazione del rischio di contagio individuale e di gruppo. L’intero gruppo sarà impegnato nel monitoraggio individuale e dei sovra-insiemi relazionali successivi (contatti familiari, contatti abituali, ecc.) a cadenza almeno settimanale, sottoscrivendo un patto di corresponsabilizzazione periodicamente rivalutato. Il referente del gruppo interverrà attivando il Medico di Medicina Generale MMG o i Servizi di Prevenzione qualora sia individuato un livello di rischio individuale o collettivo sopra-soglia.

Riteniamo che un approccio come quello sinteticamente descritto possa contribuire ad una più efficace prevenzione del contagio ed essere occasione concreta di empowerment e riabilitazione.

Ribadendo la nostra disponibilità ad un confronto approfondito sulle tematiche evidenziate, chiediamo un provvedimento specifico per la salute mentale e per tutte le situazioni di fragilità sanitaria e sociale, che abbia validità vincolante per tutte le Regioni e che superi le gravi limitazioni della libertà che perdurano a carico dei sofferenti psichici.

Il coordinamento nazionale della Conferenza Salute Mentale

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Lettera al Ministro Speranza